So What?
Viviano Marchese era ormai, giunto sulla soglia dei 50, uno scrittore piuttosto affermato. A dire il vero, aveva cominciato a scrivere senza troppe pretese e disdegnando il successo editoriale: poi era arrivato, ma non aveva cambiato molto il suo modo di scrivere. Si disinteressava del parere della critica: un critico è in genere uno scrittore che non ce l’ha fatta. La critica, dal canto suo, era divisa: per alcuni si era di fronte a un grande interprete della modernità, per molti semplicemente si trattava di un provocatore di dubbio gusto. Il pubblico però gradiva abbastanza e all’editore in fondo bastava questo.
La giornalista lo aveva braccato a lungo per quell’intervista: lui non ne rilasciava volentieri e si concedeva poco alla stampa. In fondo, per uno scrittore dovrebbero parlare soltanto i suoi libri. Poi il direttore editoriale lo aveva convinto.
-Viene a trovarti domattina alle 10. Cerca di essere cortese.
-Farò del mio meglio.
-Guarda che si tratta del giornale del premier, è un bel trampolino per il nuovo libro. Mi raccomando. Il Premio Strega…
-Va bene, va bene, lo interruppe.
Arrivò con quasi mezz’ora di ritardo. La strega. Aveva addosso qualche litro di profumo. Entrando di corsa in casa per poco non staccava e strappava dalla parete un kakemono originale dell’800. Decisamente sgradevole. Era furibondo.
-Ho sbagliato strada, mi scusi, il navigatore aveva le batterie scariche.
-Non c’è alcun problema, si accomodi pure sul divano. Io intanto preparo del tè.
-Nel frattempo posso cominciare con qualche domanda?
Silenzio.
-Va bene… secondo lei qual è la dote principale di uno scrittore? Cosa consiglierebbe a un aspirante narratore?
-Di non apparire troppo contento di essere venuto al mondo.
-Molti suoi detrattori le contestano proprio questo nichilismo di maniera, sostengono che in realtà si tratti solo di una posa… e che a leggere i suoi ultimi racconti si avverta un forte senso di irrisolto. Uno resta perplesso e si chiede: ma cosa vorrà mai dire Marchese? Dove sta il significato? L’utilità? Nei paesi anglosassoni si direbbe: so what?
>La teiera fischiò. Lo scrittore prese dei filtri, li mise a infondere e poi attese qualche minuto restando zitto. Versò la bevanda in tazze di ceramica decorate da minuti motivi floreali azzurri: solo il bordo del recipiente era dipinto di arancione.
-Guardi: non solo in letteratura, ma in tutte le arti, al giorno d’oggi, so what dovrebbe essere un complimento. So so what? / I’m still a rock star / I got my rock moves / And I don’t need you. Finisca il suo tè in fretta, per favore. Ho di meglio da fare. L’intervista è finita.
La giornalista si alzò in silenzio, frastornata. Gliel’avevano detto. Stava per imboccare il corridoio quando Marchese le disse:
-Aspetti, signorina, ancora una cosa.
-Sì…
-Stia attenta a non perdersi.