Kusen immaginari / 02

Kusen immaginari / 02

Quando si parla di accettare la realtà così come essa è, non si tratta per nulla di un invito alla passività o alla rassegnazione. Non è questione di dire a se stessi: “Pazienza, tanto non posso farci nulla” oppure: “Tanto è inutile, non cambierà mai”. Accettare la realtà come si presenta vuol dire sospendere il giudizio sulla presunta negatività (o positività) della situazione e provare a scoprire l’insegnamento che essa ci presenta. Tutto è insegnamento, se viene osservato dalla giusta prospettiva: quindi, di fronte alla realtà la cosa più saggia da fare non è appiccicare l’etichetta “buono” o “cattivo” bensì indagare le cause e gli effetti sottostanti. Se adottiamo questo spirito, allora l’errore e la sconfitta non sono più un nemico o un dramma, ma diventano un’occasione di crescita che dobbiamo ringraziare e un’opportunità di miglioramento.

Purtroppo la società in cui siamo immersi non ammette la possibilità dell’insuccesso o dell’imperfezione: fin dalla più tenera età siamo condizionati a essere i migliori -o a fingere di esserlo, che è peggio- e raramente ci sentiamo dire che andiamo bene come siamo e per quello che siamo, oppure che siamo già perfetti. Questo spirito è importante anche in zazen.

Se affronto la meditazione seduta con l’atteggiamento: “Devo eliminare i pensieri” oppure “Bisogna mantenere i pensieri piacevoli e allontanare quelli sgradevoli” rischio di cadere in una trappola che non conduce alla liberazione. La vera liberazione, il reale risveglio, non consiste nel non avere pensieri: dovresti essere morto per non pensare. Il punto sta nell’osservare cosa accade nella mente come se fosse uno spettacolo, una rappresentazione teatrale. Concentrati sul respiro e sulla postura, si registra cosa nasce e cosa muore nella mente, incessantemente, senza valutarlo. Con il tempo e con la pratica impariamo a riconoscere come vacua ogni nostra costruzione mentale e a questo punto si apre una possibilità di pace e di liberazione perché “io” non mi identifico più con i “miei” pensieri, ma riconosco che i pensieri sono solo un utile mezzo per le attività quotidiane. I conflitti diminuiscono, le cose diventano relative, e io sono maggiormente aperto alla creatività del cambiamento e ai punti di vista altrui.

Questo vale anche per i desideri, le illusioni e le emozioni. Non si pratica zazen per eliminarli, ma per esserne pienamente consapevoli. Se siamo a conoscenza della loro vera natura non ne siamo più dipendenti. Posso al limite anche soddisfare la voglia di ubriacarmi una volta, ma la mia serenità e felicità non dipendono dal fatto di ubriacarmi.
A questo punto posso comprendere il paradosso solo apparente del noto proverbio zen:

Prima del risveglio tagliavo legna e portavo acqua;
dopo il risveglio tagliavo legna e portavo acqua.

Vuol dire che il risveglio non è niente di speciale o di sovrumano. Veramente le cose tornano al loro posto: una mela è semplicemente una mela, un pensiero è semplicemente un pensiero.