Platone e l'INVALSI

Platone e l’INVALSI

Asini sorridenti

Come ogni anno, ha destato scalpore il rapporto INVALSI circa gli apprendimenti degli studenti italiani, dal quale emerge un sostanziale analfabetismo funzionale piuttosto diffuso tra i nostri giovani, che diventa particolarmente grave nelle regioni meridionali. Puntualmente si levano le accuse alla scuola, ormai incapace – si dice – di rappresentare un fattore di miglioramento sociale; si fa notare come questa “emergenza educativa” rappresenti un pericolo per la democrazia: un cittadino che non sa leggere il foglietto illustrativo di un farmaco né “decifrare” correttamente un biglietto ferroviario come potrà mai informarsi in modo consapevole sulla realtà circostante e votare senza essere preda di semplificazioni e mistificazioni? 

A chi punta il dito contro la scuola vorrei ricordare che sì, è vero che molti docenti sono demotivati e che ve ne sono di alcuni inadatti allo scopo, però qualche precisazione va fatta. 

La Costituzione

Il primo fondamento dell’educazione è la famiglia. Da un punto di vista giuridico ciò è affermato nella Costituzione all’articolo 30, nel quale si parla del diritto-dovere genitoriale di “mantenere, istruire ed educare” i figli. Rispetto a questo compito primario della famiglia, la scuola e gli altri corpi sociali svolgono un ruolo, per così dire, sussidiario. Molte ricerche mostrano, del resto, che il contesto socioeconomico è il fattore decisivo per l’educazione di una persona: più un individuo è stimolato intellettualmente fin dai primi mesi di vita, più è facile che il suo sviluppo personale sia completo. Anni fa mi imbattei in uno studio inglese il quale asseriva che i figli di laureati, in quanto esposti già in età prelinguistica a un lessico più ricco, ottenevano risultati scolastici migliori. Sono fatti, questi, piuttosto risaputi tra gli addetti ai lavori, ma misconosciuti dalla maggior parte delle persone. Le famiglie invece tendono a delegare tutto alla scuola e a lavarsene le mani.  

Il fondamentale compito della scuola e dello Stato, dunque, sarebbe proprio ricordare ai genitori la loro importanza e il loro ruolo principe nell’educazione dei figli: più facile a dirsi che a farsi, visto che le cronache sono piene di casi di segno opposto. Assistiamo a genitori che contestano le valutazioni o aggrediscono i docenti. Il problema si riversa pure nell’istruzione degli adulti: molti studi di settore, anche su questo punto, segnalano l’importanza dell’apprendimento permanente per tutta la vita come fattore di resistenza alle crisi economiche e ai cambiamenti del mondo del lavoro; nonostante ciò, il numero di adulti impegnati in percorsi di aggiornamento professionale è minimo e – quel che è peggio – inversamente proporzionale alla necessità di usufruirne. Detto altrimenti e rudemente: più le persone sono ignoranti e avrebbero urgenza di formarsi e aggiornarsi, meno percepiscono l’importanza dello studio e della formazione, anche da adulti. Il fenomeno rischia di avvitarsi su sé stesso e occorre essere onesti intellettualmente: non è facile uscirne, né rapido. 

A questo punto ci si potrebbe domandare perché nel secolo scorso la scuola è stata un importante fattore di emancipazione. Rispondo che se una volta la scuola “funzionava” meglio è perché il compito era diverso e per certi versi più semplice –si trattava “solo” di alfabetizzare le masse- ma anche e soprattutto perché alla scuola e all’istruzione veniva riconosciuta un’importanza decisiva che adesso è venuta meno. Se la famiglia rema in direzione opposta rispetto alla scuola o la contesta apertamente, non si può sperare in risultati positivi: è come quando un paziente non rispetta la terapia e pensa di saperne più del medico. La malattia può solo aggravarsi.  

Platone

E Platone cosa c’entra? Il problema dell’ignoranza non è nuovo, anzi è il problema dell’umanità da quando è nata: solo che oggi i social network sono lì, a osservarla con la lente del microscopio. Nel V Libro della Repubblica Platone avanza una proposta pedagogica che risolverebbe il problema nel giro di una o due generazioni: nello stato ideale platonico i figli sono tolti ai genitori fin dalla nascita e vengono educati dai Saggi in scuole statali. In questo modo il fattore socioeconomico, diremmo noi oggi, viene praticamente azzerato per “produrre” cittadini in grado di ben governare la cosa pubblica. Una simile soluzione oggi ha il valore della provocazione culturale, naturalmente, però è opportuno ricordare come da più parti si assegni un crescente valore strategico agli asili nido e alla scuola dell’infanzia. I documenti europei suggeriscono di estendere e generalizzare sempre più il settore 0-6 come fattore decisivo del futuro successo formativo; in Italia il recente decreto legislativo 65/2017 si è riproposto proprio l’obiettivo di coprire almeno il 33% della popolazione sotto i tre anni di età per quanto riguarda gli asili nido e di generalizzare progressivamente la scuola dell’infanzia.

Esistono zone del Paese dove permane una certa cultura familiare che produce una scarsa richiesta del servizio, cui si sommano le ristrettezze economiche degli enti locali: il risultato è che di fatto i servizi 0-6 in loco sono quasi inesistenti. Sono le stesse aree che nei risultati delle prove INVALSI restituiscono gli esiti peggiori. Da una politica davvero attenta alle sorti dell’istruzione -e quindi della democrazia- mi aspetterei un investimento economico massiccio per attuare pienamente il d. lgs. 65/2017: dare vita quanto prima ai poli per l’infanzia, per esempio. Mi aspetterei inoltre che, come già avviene in qualche realtà europea, la scuola dell’infanzia diventasse scuola dell’obbligo: ciò sarebbe uno stimolo a realizzare le strutture e ad adottare politiche di ampliamento effettivo del servizio. Se c’è un punto su cui oggi investire con decisione è questo: un asilo nido e una scuola dell’infanzia a tempo pieno, per tutte e per tutti. 
Un po’ come Platone 2.0. 

Un argomento forse meno popolare del reddito di cittadinanza o della SeaWatch, ma di certo più stringente per il nostro futuro.