Houseparty

Houseparty

Lo so già che non riesco a decidere se mi piace la calma o il disordine. Nello studio del dipartimento ci sono le pile di tesi ammassate, quelle nuove con la copertina tutta blu carabiniere e quelle vecchie con una rosso pompeiano. Le riviste di diritto tributario accatastate sulla scrivania in ordine sparso. La documentazione amministrativa. Sto correggendo le bozze della nuova monografia del prof. Cubello d’Arborea: siamo a luglio e va consegnato in tempo all’editore per la pubblicazione a settembre. Il Manuale di contrattualistica internazionale costerà 53 euro e verrà usato nell’insegnamento universitario tenuto dal professore; tutti i suoi studenti dovranno comprarlo e guai a presentarsi all’appello con un libro fotocopiato o usato. Cubello è il terrore delle matricole: una volta mentre gli facevo da assistente agli esami è entrato in aula e ha annunciato:

-Ora che vi siete iscritti, l’esame lo date. Prenderò nota di chi non si presenta. Il mio lavoro è fare ricerca universitaria e non è che io possa perdere tempo a fare  esami a voi.

Le malelingue sostengono che conservi un file con i nomi degli studenti e le date degli appelli, con relative domande dell’interrogazione, in modo da riproporle identiche ai bocciati. Ma il file esiste davvero, l’ho visto io.

Sono piegato sui fogli, dunque, e nella stanza c’è solo il ronzio del ventilatore che viene interrotto dalla porta che si apre. Entra Luz, senza nemmeno bussare o controllare attraverso i vetri satinati se qualcuno sia all’interno; e infatti appena mi scorge arrotonda la bocca in segno di sorpresa e mi fa: “Scusa, pensavo non ci fosse nessuno.”

Fa caldo, è tutta sudata, indossa un abitino giallo corto decorato a rombi chiari, che in controluce lascia intravedere la biancheria intima sottostante. Perdo la concentrazione ma anche l’irritazione per l’irruzione a sorpresa. Luz è un’aspirante dottoranda andalusa dai capelli lunghi e nerissimi e la carnagione scura, che si è trasferita qui a Roma Tre da Almería, dove è nata, due anni fa; parla un italiano senza cadenze spagnole e non la vediamo spesso in dipartimento, perché lavora per mantenersi qui nella capitale. Non la incontravo da mesi.

-Sono passata per prendere delle riviste per l’articolo. Perdonami tanto l’interruzione… Madre de Dios, fa caldissimo oggi vero? e si asciuga la fronte con enfasi.

-Non importa, ti vedo in forma.

-Grazie. Ma tu che ci fai qui? Credevo che ti fossi sposato e trasferito a Catania.

Rido.

-Figurati. Se ti riferisci a Donata, mi ha lasciato quattro mesi fa. Con un sms.

Silenzioso stupore. Poi la reazione:

-Incredibile, sembravate legatissimi. Quanti anni?

-Sei. Che ti devo dire… a febbraio si è laureata in chimica farmaceutica e voleva a tutti i costi andare via di casa e rendersi indipendente dai suoi. Colloqui a tutto spiano. L’hanno chiamata da una ditta milanese per un posto da informatore scientifico del farmaco, ottimo contratto tra l’altro, con corso di formazione obbligatorio nella sede centrale prima di iniziare. Lì ha conosciuto un futuro collega e dopo 48 ore ero bell’e cornuto. La forza dell’amore. E pensare che l’ho anche accompagnata in aeroporto per andare a Milano, visto che lei non è automunita.

-Che stronza.

-Veramente. Ha avuto il coraggio di scrivermi: “Non ti ho mai amato”. Dopo sei anni, così, con un messaggino tipo Twitter.

-#StronzaDueVolte. 

-#AncheTre. Tu?

-Io… sono in una situazione complicata. Entonces… possiamo sentirci uno di questi giorni, che dici?

Non approfondisco la situazione complicata e rispondo che va bene, molto volentieri.

Tre giorni dopo squilla il cellulare mentre sono indaffarato a prepararmi un’amatriciana. La pasta all’amatriciana è spesso millantata per tale: io sono un talebano della ricetta originale. No burro, no olio, zero cipolla. Sì al guanciale come da tradizione, invece della pancetta che rende il tutto più salato. Stavo dunque tagliando il guanciale a listarelle quando Luz mi ricorda l’invito:

-Ciao, tutto bene? Volevo sapere se un giorno di questi ti va di vederci. Hai idee?

-Si, bene… certo… vediamo… ci sarebbe la mostra di Bruce Chatwin fotografo, io non l’ho ancora vista, si potrebbe andare insieme. Ho appena terminato la lettura di In Patagonia e mi incuriosisce.

-D’accordo.

-Facciamo venerdì alle 15? Ci vediamo davanti all’ingresso.

-Aggiudicato.

Il primo appuntamento: invito a una mostra di fotografia, ma di uno scrittore. Non so come mi sia venuto. Luz arriva puntualissima e io la sto già aspettando coi biglietti fatti. Entriamo subito, la coda praticamente non c’è. Le stanze della mostra sono buie e fresche e rappresentano un sollievo rispetto alla canicola di là fuori. Una delle immagini più belle raffigura la stazione di Jaramillo in Patagonia, all’incirca 400 anime. Sulla destra dell’inquadratura la stazione, che di fatto è un baraccone con il porticato. Tutto intorno non c’è nulla se non ciottoli e steppa. Sul binario di sinistra, a fianco di un traliccio, staziona un singolo vagone. Durante la visita alla mostra le parlo di Chatwin e dei suoi libri: anche se sono un economista aziendale adoro la lettura e ho fatto il classico. Uno dei crucci che ho è la consapevolezza che morirò senza aver letto tutti i libri che avrei potuto leggere. Luz in apparenza è meravigliata dalle mie esternazioni e ogni tanto esplode in un ma come fai a sapere tutte queste cose?

-Ci vado pure io in Patagonia, quest’estate -afferma Luz a un certo punto- con Avventure nel Mondo.

-E quando parti?

-Ai primi di agosto, il 4. Sto via 21 giorni. Siamo un gruppo di cinque.

-Io credo resterò a casa quest’estate.

-La settimana prossima devo andare a un houseparty a casa di amici. Mi accompagneresti? Così ci salutiamo prima che io parta.

-Va bene.

-Ti chiamo.

Mi passa a prendere puntualissima come sempre, sulla sua Renault 5 color piombo e questo mi piace. Non la Renault, il fatto che sia puntuale.

-Chi sono questi amici da cui stiamo andando?

-Sono il gruppo con cui canto gospel. Ci troviamo il giovedì per le prove e ogni tanto teniamo concerti.

-Il gospel?

-Sono cattolica. E anche comunista.

-Io sono agnostico e liberale. Passi ancora per il cattolicesimo anche se gli indios cristianizzati a forza avrebbero da ridire forse, ma il comunismo proprio no. Comunismo e nazifascismo sono stati due tumori identici per i diritti umani. Dovresti spiegarlo a qualcuno che ha vissuto sotto Ceaușescu, sotto Hoxha o sotto Pol Pot, che sei comunista. Susciteresti lo stesso orrore che abbiamo noi per uno che si dice hitleriano o fascista.

-Va be’… potremmo essere perfettamente complementari. Ti piace il gospel?

-Non molto. Preferisco i Nirvana.

La festa è abbastanza noiosa, non si parla di gospel ma a un certo punti sono tutti a giocare a Risiko. Nessuno o quasi mi considera. Tra la dozzina di presenti noto un tipo che somiglia in modo impressionante al comandante Straker della serie UFO, il quale dimostra una certa confidenza con l’andalusa. Potrebbe essere lui la situazione complicata.

Luz parte per la Patagonia il 4 agosto e io rimango nella metropoli deserta e assolata, a correggere bozze. Siamo rimasti intesi che al ritorno ci sentiremo. Riesco a staccare giusto la settimana di Ferragosto, perché un amico mi invita a trascorrere qualche giorno nella sua casa al mare ad Ansedonia. Mi metto a scrivere haiku, per passare il tempo che mi separa dal ritorno di Luz, uno al giorno. Sono tutti incentrati sul gioco di parole tra “Luz” e “luce”. Così arriva settembre e provo a chiamare casa sua, ma non c’è ancora nessuno. Riprovo dopo una settimana e questa volta mi risponde una voce maschile:

-Sono il fratello. No, Luz non c’è. Si, è tornata dall’Argentina ma è stata invitata qualche giorno al mare, a Fregene. Un amico.

Mi faccio scemo e rimuovo la complicazione. Sola al mare con un amico? Ah.

Quando finalmente torna, è lei stessa a cercarmi. Ci vediamo in birreria e mi racconta della Patagonia con entusiasmo, io non accenno nulla circa la rivelazione fraterna e lei non parla della settimana al mare. Mentre stiamo conversando, a un tratto si avvicina qualcuno che l’ha riconosciuta.

-Ciao, come va? Poi, dopo avermi squadrato, le fa: Ti ho beccata, eh?

-Non c’è proprio niente da beccare, ribatte lei tra il seccato e l’imbarazzato.

-Si, certo, replica l’amico facendo l’occhiolino e allontanandosi verso il bancone.

Inizio a sospettare che Luz abbia una doppia vita che mi nasconde, ma sono anche convinto che dovrebbe essere lei a tirare fuori il discorso. Riprendiamo a parlare di Argentina dopo un breve silenzio goffo, come nulla fosse. 

Durante l’autunno io e Luz prendiamo a uscire ogni settimana, in genere il martedì sera. Mi comporto da vero gentiluomo: non succede mai niente e nel frattempo mi sorbisco un concerto gospel, un altro houseparty nel quale nessuno mi considera e una cena a due al ristorante vegano. Si, è pure vegana. Non vegetariana. Vegana.

Al ristorante la cameriera ha appena terminato di santificare le lodi di una cheesecake 100% soia sostenendo che non vi sia alcuna differenza con quella che mangiamo noi esseri umani, con burro formaggio zucchero e tutto il resto. Sa di cartone pressato e penso alla mia amatriciana. 

-Ottima, vero, proprio nessuna differenza, confermo.

Luz prorompe:

-Comunque sappi che io ho deciso di non avere figli in vita mia.

-Prendo atto… ma non capisco… mica stiamo insieme, no?

-Io te lo dico lo stesso.

-E come mai non vuoi bambini?

-Ci sono milioni di orfani al mondo. Perché aggiungere un’altra bocca da sfamare a un pianeta sovraffollato? Piuttosto, adotterò. Tu cosa ne pensi?

-Sono ancora giovane e non mi sono posto il problema. In più sono single, quindi credo che ci penserò al momento opportuno.

Dopo cena la accompagno sotto casa e questa volta mi invita a salire, per vedere l’appartamento dove vive dice. Il fratello non c’è più, si è trovato una sistemazione per avere la propria indipendenza. L’alloggio è un po’ in periferia, in una zona abbastanza ricca di verde; la palazzina è recente e non troppo grande, tre o quattro piani. Luz vive in un bilocale ben strutturato: appena entrati c’è un salotto con un divano bianco a forma di elle, piuttosto lungo, che gira attorno al televisore. Sulla sinistra del sofà c’è la cucina abitabile, decisamente ampia, separata dalla zona salotto per mezzo di un muro a vetri che rende il vano più luminoso. Un piccolo disimpegno dietro la tv conduce al bagno sulla sinistra e alla camera da letto. In occasione della cena sono più elegante del solito e anche lei è decisamente curata, con un bel tailleur e il mezzo tacco. Luz parla ma io non la ascolto, stasera sono troppo preso a guardarla. A osservarci da fuori, si direbbe che stiamo per diventare molto intimi eppure la conversazione si svolge a una certa distanza che smentisce questo assunto, non ci siamo messi dalla stessa parte del divano.

Probabilmente arrivano momenti in cui bisognerebbe farsi capaci di compiere gesti da film, nella fattispecie alzarsi, sedersi accanto a Luz posando una mano sulle sue cosce e dare il via a tutto. Invece la mia attenzione è presa, da un certo punto in avanti, da un vaso giallo con dei fiori freschi dentro, che scorgo sul tavolo della cucina, con tanto di fiocco dorato e biglietto appeso -ma non riesco a leggerci. Così non sfrutto il match point e arriva il momento in cui ci si dice che si è fatto tardi e che è ora di andarsene. 

Con una scusa mi dirigo all’interno della cucina e leggo di nascosto il biglietto: Perdonami. Diego. Sulla porta, nel salutarmi, Luz mi dice:

-Beh, allora ci vediamo. Comunque… sai… non è che io sia il tipo di ragazza che fa salire tutti quanti a casa sua, così… ecco, volevo dirtelo.

Con i fiori ancora in testa rispondo sorridendo: certo, ci mancherebbe, ci sentiamo, don’t worry e forse questo raddoppia la mia figura da coglione. Scendo le scale e saluto un po’ esitante.

Una cosa però l’ho realizzata: devo combattere la complicazione. E il giorno dopo le faccio recapitare a casa un mazzo di rose rosse. Anch’io so farlo, mi dico. Ma Luz non mi ha mai detto se ha apprezzato il gesto. Attendo qualche giorno e poi, un po’ colpito da questa indelicatezza, decido di chiamarla e di chiedere un appuntamento. Scegliamo un caffè nei pressi dell’ateneo e dopo qualche battuta di circostanza punto al nodo da recidere.

-Ascolta Luz, ormai è un po’ che ci frequentiamo e io non ho ancora capito cosa siamo. Amici non mi pare, fidanzati nemmeno… forse puoi aiutarmi a fare chiarezza? Io non ti considero solo un’amica, ecco.

-Nemmeno io… o almeno: non ne sono sicura. Non so. Non ho sufficienti energie per impegnarmi adesso, sono svuotata da cose che mi sono accadute… E poi non ti conosco abbastanza.

-Non mi conosci abbastanza? Ma di cosa stiamo parlando? L’amore è un salto nel vuoto senza garanzia di sopravvivenza. Non puoi essere certo che ne uscirai indenne. Non ci mettiamo mai con uno che conosciamo già completamente, ma con qualcuno che rappresenta una speranza. Una scommessa pascaliana. Se metti le mani avanti già prima, se vuoi pararti da subito il culo, vuol dire che non sei convinta. Che ti piaccio, ma non abbastanza.

Quest’ultima frase la penso, ma non è quella che pronuncio. Dovrei tirare fuori il mare e l’amico, il vaso di fiori e il perdonami, invece riesco solo a dire che allora è questione di tempo, di approfondire la conoscenza, va bene aspettiamo. In realtà si è verificata una sottile frattura, come quella dei piatti che continui a usare ignorando una piccola scheggia, ma lo sai che si romperanno all’improvviso.

L’anno sta terminando, siamo ai primi di dicembre e le persone stanno pensando alle vacanze di Capodanno. Piove, è giovedì, sto andando in Dipartimento; ho preso la linea B in direzione Laurentina e sono sceso alla fermata Marconi. 500 metri a piedi e sono in via Silvio D’Amico. Ho fretta perché tra poco devo essere in aula: dal gabbiotto di Azione Universitaria una biondina dagli occhi azzurri esce di corsa, senza far caso a nulla, e mi travolge. La valigetta si apre, i libri e le mie fotocopie si sparpagliano a terra insieme coi suoi volantini, il portatile scaraventato a un metro e mezzo accanto all’ombrello. Lo raccolgo: lo schermo è un po’ graffiato e la plastica ai bordi è fuori sede.

-Sono affranta, la aiuto…

-Lasci perdere, sono di corsa, faccio io.

-Ma il portatile… glielo ripago. E fa per estrarre il portafogli dalla borsetta.

-Ascolti, ora non ho tempo. Se crede, venga alle 14 nella stanza 32 al terzo piano. Dott. Marco Alessandri.

-Va bene. Verrò.

Finita la lezione salgo in ufficio e ho già dimenticato l’incidente, ma alle 14 in punto bussano alla porta: è Giorgia, la vandala del mattino. La responsabile di Azione Studentesca a Roma Tre.

-Senta, sono davvero mortificata. Faccia riparare e poi mi dia la fattura, questo è il mio numero, ripago tutto.

-Non è il caso, è un modello già vecchio che stavo per cambiare. Piuttosto: ci vuole coraggio in un feudo rosso come Roma Tre a essere di AS, no?

-A dire il vero in due anni siamo diventati la seconda lista d’ateneo anche qui. Certo a Tor Vergata è più semplice, ma qui ci sono 800 tesserati su una popolazione di circa 35 mila studenti. Tre anni fa eravamo la quinta lista. Siamo credibili perché ci siamo messi a disposizione portando avanti iniziative di sindacalismo studentesco come le tasse universitarie e il numero degli appelli straordinari, cosa ambita dagli studenti. E comunque no, il coraggio non mi manca.

-Insomma, accanto agli studenti. Uno slogan di sinistra.

-Vabbè, non so come la pensi lei, ma io non sono qui per fare un comizio o per convincerla.

-Sicuro. Senta, magari possiamo riparlarne a pranzo un giorno di questi? Dopo il funerale del notebook.

Inizialmente è spiazzata dalla mia proposta, prende tempo per qualche secondo, ma alla fine l’impaccio si scioglie in un’apertura di sorriso e di possibilità:

-Il giovedì finisco le lezioni alle 13.

-La prossima settimana? Intanto porto il moribondo da un tecnico.

-Va bene. Ci si sente.

Se ne va lasciando un alone di allegria e di vitalità, il primo da mesi. Penso al fatto che a sinistra si dichiarano femministi e gioiosi, in stile Lella Costa, ma poi sono i movimenti e i partiti di destra che affidano alle donne i ruoli di responsabilità.

Il negoziante di computer conferma la diagnosi: non è vantaggiosa la riparazione rispetto al valore attuale del modello. Decido di passare ad Apple con un iBook G3 Clamshell, color mirtillo, appena lanciato sul mercato. Il pranzo con il quale annuncio a Giorgia questa svolta fondamentale nella mia carriera di consumatore informatico è il primo di un’assidua frequentazione che rimane, per il momento, entro certi limiti. Continuiamo buffamente a darci del lei. Nel frattempo Luz c’è sempre, ma su uno sfondo via via più sfocato, di martedì in martedì sera. E poi, sarà il Capodanno con le sue implicazioni simboliche di ripartenza, ma continuo a ricevere segnali di interesse. Si rifà viva Donata, che è stata lasciata dal milanese, e mi propone un Capodanno di riflessione a Parigi, ma io rispondo che ho già riflettuto abbastanza in questi mesi. Sopra il mio appartamento abitano due sorelle, Antonella e Valeria, abbastanza brutte e piuttosto sinistre, che ascoltano i REM a tutto volume ed escono sempre e soltanto loro due. Proprio i REM sono stati il loro gancio, dal momento che una sera sono salito e ho detto che pure io li apprezzo, ma a volume più basso. Da quella volta, a ogni incrocio sulle scale larghi sorrisi da parte di entrambe, specialmente dalla più racchia che è Valeria.

Sto scaricando la spesa dalla macchina quando mi imbatto nel duo. Antonella mi porge una musicassetta:

Up, l’ultimo uscito. Secondo me ti piacerà tantissimo, poi me lo restituisci con calma.

-Ascolterò, grazie. 

-Senti, volevamo chiederti… per caso hai già idee per Capodanno? Noi intendevamo visitare Berlino, ti andrebbe di venire con noi?

-Mah… veramente… avevo già un mezzo impegno, pensavo Londra, niente di definitivo, però… se cambio programma ve lo dico.

Duplico la cassetta e la restituisco il giorno stesso. Niente Berlino. Ma Londra non è una bugia: dal momento che ho preso la decisione di entrare nell’anno nuovo con prospettive ben definite, un pomeriggio ho telefonato a Luz.

-Ascolta, che ne dici di andare a Londra insieme per Capodanno? 

-Preferisco di no. Non mi sembra il caso di fare un viaggio da soli.

-Perché? Scusa, in fondo ci frequentiamo da mesi…

-Perdonami Marco ma… dovresti capire che un simile invito equivale a una precisa proposta. Mi metti in imbarazzo, ti avevo già detto che non me la sento. 

Riattacco con un certo disappunto e realizzo di essere definitivamente friendzonato. Alla fine resto a Roma da solo e l’unica che mi fa gli auguri telefonici di felice anno nuovo è Giorgia, con la quale siamo passati al tu. Non ho la forza di domandarle dove trascorra San Silvestro, però. 

Dopo il secondo rifiuto, i rapporti con Luz sono sotto zero e ormai limitati agli incontri lavorativi in Dipartimento, quando viene. Buongiorno le riviste del mese sono lì su quella pila e arrivederci, sto finendo un articolo. Una mattina, mentre sto salendo al terzo piano e sono mano nella mano con Giorgia, cui sto per augurare buona lezione dopo un bacio, Luz si manifesta davanti alle porte dell’ascensore. Naturalmente ci vede, ma sale con me senza dire nulla e resta in ufficio giusto il tempo di prendere dei libri. Quella sera mi squilla il telefono. Una scenata di gelosia vera e propria.

-Chi è la biondina che ha 10 anni in meno di te?
-Prego? Luz, hai preso a interessarti della mia vita sentimentale? Da quando?

-Non ho mai smesso… tu sei una persona fuori dal comune, Marco, e io… a volte ho la sensazione di stare per perdermi qualcosa di bello.

-Hai avuto tempo per rifletterci. Arrivi un po’ tardi.

-Ascolta, la settimana prossima a casa mia c’è un houseparty per il mio compleanno. Mercoledì alle 21. Ti prego di esserci. Mica devi dirlo per forza a quella là, che ci vieni, no? Ti aspetto.

-Mercoledì ho un convegno a Pescara, tornerò molto tardi, è difficile.

-Su, provaci.

-Non prometto nulla.

La settimana successiva vado a Pescara a parlare di oggetti e scopi della ragioneria internazionale; dimentico del tutto la festa di compleanno di Luz. Quando torno a casa sono le 23,12 e ho un messaggio in segreteria telefonica, delle 22,39. È quasi in lacrime:

-Non ti ho ancora visto! Sei a casa? Cerca di passare, per favore! Ti ho anche messo da parte una fetta di torta e dello spumante…

Sono ancora vestito e in 20 minuti potrei esser da lei. Mi prende tutta la stanchezza del viaggio. Mi svesto e mi faccio una doccia. La casa è nel buio più completo, solo il tic tac dell’orologio a muro è percepibile.

Prendo le stampe delle poesie scritte per Luz l’estate prima, di cui non sa nulla. Avrei voluto dargliele a settembre. Il mare. L’amico.

Le trituro a pezzetti fini fini e le spargo per tutto il pavimento. Ora so che mi piace il disordine calmo. Mi sdraio per terra. Fare tardi senza fare niente, questa è la migliore di tutte le feste.