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Una grande festa

A 21 anni non ho ancora conosciuto una ragazza, in senso biblico intendo, e questo è un problema. Le mie frequentazioni sono esclusivamente maschili: c’è il nucleo storico degli ex compagni di liceo che continuano a uscire insieme anche se sono iscritti all’università da un anno, i più affiatati come Michele, Daniele, Andrea, ai quali si sono aggiunti amici e amici di amici. Giuseppe, che lavora già come disegnatore tecnico ed è economicamente indipendente, ma continua a vivere con i suoi. Enrico, che non parla quasi con nessuno; è stato cooptato da Giuseppe, credo mosso da compassione dato che pure lui vive ancora con i genitori pur lavorando -ma ha 15 anni più di Giuseppe. Paolo invece fa l’operaio in una fabbrica di pneumatici e ogni tanto trascina alle uscite suo fratello Vincenzo, che non studia e non lavora. Sta tutto il giorno a casa a preparare le formazioni per il fantacalcio e a guardare partite di pallone alla tele, anche le amichevoli Camerun-Corea del Sud, delle quali sa raccontare ogni particolare. Ha aperto un canale YouTube che spiega come vincere al fantacalcio e conta 42mila iscritti mentre scrivo, insomma ha una certa notorietà social con il nickname Win100S. 

Non siamo ricchioni, preciso. Se non ci sono presenze femminili, è perché i nostri divertimenti risultano poco attrattivi per il gentil sesso: bowling, birreria, ping pong, birreria; torneo di PES alla PS4 da qualcuno, birreria, ennesimo capitolo cinematografico di Fast and Furious, birreria.

-Guarda che se continui a frequentare quegli sfigati non ne vedrai mai una, ha sentenziato Davide al termine della lezione di Sociologia in aula 36.

-Hai ragione, però tu non mi sembri messo meglio.

-Io almeno ci provo, non vado in giro solo con disadattati, misogini e hikikomori.

-Ma non sono né disadattati né misogini, ti sbagli.

-Comunque devi ascoltare me. Questo sarà il nostro ultimo anno da single. Ho conosciuto due tipe interessanti a Storia del cinema e quel che più importa è che girano con altre amiche. Possiamo intrufolarci a qualche houseparty.

-Per favore diciamo festa, in italiano. E come si chiamano?

-Una Mara, l’altra non ricordo.

-Vabbè, organizza tu e fammi sapere quando è venuto il momento di gloria.

Davide è molto interessato alle ragazze, anche se ha modi un po’ effeminati nel parlare e lui sì, potrebbe essere scambiato per gay. L’ho conosciuto il primo giorno di università proprio al corso di sociologia. L’aula era stracolma, io ero arrivato per tempo e mi ero seduto in modo da rendere intorno a me scomodo l’accesso di comitive di matricole, lui però quando è arrivato era da solo e notando il posto vuoto alla mia destra mi ha chiesto se poteva accomodarsi e non ho potuto negare che fosse libero. Ha iniziato a parlarmi e non ha più smesso. Legge molto, si direbbe colto, ma è un po’ eccentrico. Dipinge, anche. A casa sua mi ha mostrato un quadro con tre gatti neonati al chiaro di luna, uno tigrato, uno tutto nero e il terzo certosino. Erano riusciti bene, ma in definitiva erano raffigurati solo tre mici. Lui mi ha comunicato che il quadro gli era stato ispirato dalla lettura di Freud e per questo lo aveva intitolato Psiche felina. Nulla nel dipinto lasciava intendere un’introspezione degli animali, eppure il quadro a suo dire rappresentava l’inconscio felino, perché anche i gatti hanno le loro psicosi e nevrosi, ha concluso. 

Nel giro di qualche settimana le manovre di Davide hanno successo e iniziamo a frequentare la compagnia di Beatrice detta Bea, l’amica di Mara. Quando Giuseppe mi telefona il sabato pomeriggio per l’invito abituale, divento di volta in volta più evasivo, comunico che non posso, accampo altri impegni, magari ci vedremo la settimana prossima. Dopo un po’ smette di cercarmi. Sono proiettato in un mondo a cui non ero abituato, dove i pub le pizzate e i cinema continuano ad avere cittadinanza, ma giocano un ruolo minore rispetto alle feste private. Che sono il pezzo forte. E si tengono regolarmente in case lussuose ed enormi messe a disposizione da genitori che il sabato sera sono a teatro o nella seconda casa in montagna. Davide è benestante, si trova a suo agio. Per me scintilla tutto, da promessa di parvenu quale in fondo io rappresento. In realtà tutti mi sembrano soli come nella compagnia frequentata prima, solo c’è più movimento, non so come spiegare, è come se lo scintillio dei bei vestiti e la finta trasgressione delle canne coprisse lo stesso rumore di fondo, la medesima sofferenza che si patisce in silenzio nella moltitudine, insieme con gli altri. Sono tutti in cerca di un compagno per la sera o per la vita, le coppie si fanno e si disfano in continuazione. Io resto da solo. Io credo che spesso si ami veramente soltanto se stessi e che più che l’attrazione per qualcun altro incida il timore dell’abbandono. E ciò spiega la superficialità dei rapporti, il consumismo degli amori compulsivi seriali. Frequento questo giro, tuttavia, e sono inserito al pari degli altri nel vortice della ricerca. 

Mancano sei giorni a Capodanno. Le compagnie giovanili e le relative occasioni di ritrovo, alla fine, non sono altro che un pretesto per conoscere potenziali partner, un surrogato di agenzie matrimoniali e di siti per incontri. Capodanno non sfugge a questa legge, si potrebbe definire la Madre di Tutte le Occasioni. Bea mi ha chiamato per invitarmi.

-Ascolta, per Capodanno la compagnia si trasferisce al Sestriere, dove abbiamo la casa io, Vitto, Mara e Fede. Pensavamo di festeggiare nella tavernetta di Vitto. Se ti va di venire, ti ospiterei per due o tre notti nel mio bilocale.

-Fantastico, e chi saremmo nell’alloggio?

-Io e te. Ti imbarazza?
-No, per carità, figurati.

-Allora, io penso di andare su lunedì pomeriggio, in auto. Ti passo a prendere così facciamo il viaggio insieme e poi tanto lì da me non c’è molto parcheggio.

-Va bene. A che ora?

-Verso le 15.

L’evoluzione umana dei capodanni in genere prevede questo percorso: 

1) fino ai cinque anni si è incoscienti e va bene tutto. Dopo,

2) i genitori organizzano i veglioni in modo che i bambini della stessa classe primaria possano socializzare e divertirsi tra di loro, anche se gli adulti si detestano. L’ingresso nella scuola media apre invece la fase 

3) in cui i ragazzi si annoiano davanti al proprio smartphone a casa di adulti che hanno ripreso a frequentarsi; 

4) dal liceo in poi si inizia a passare la ricorrenza fuori casa, tra coetanei, non necessariamente dormendo da uno di loro. A un certo punto ci si fidanza e 

5) si fa un viaggio romantico a due, preferibilmente in qualche capitale europea. 

Dopo l’eventuale matrimonio, ma ormai anche senza, si ha la brillante idea di riprodursi e si torna così al punto 1) a ruoli invertiti. Ora, io sono evidentemente nella fase 4 e probabilmente Bea aspira alla 5, ma io non me ne accorgo o forse in realtà sono troppo impaurito per sperarlo. Non ho mai trascorso un Capodanno fuori casa, magari sono tornato all’alba, ma dormendo sotto il mio tetto. Quando annuncio la novità per il 2020, mio padre commenta con un sorriso tra il compiaciuto e il sarcastico, dando già tutto per scontato, squadrandomi come a dire finalmente ti sei svegliato.

Bea arriva con la sua Panda giallo limone alimentata a metano, appena immatricolata.

-Bella quest’auto, faccio mentre mi accomodo a lato della conducente.

-Macchè, è una ciofeca; per andare in montagna non ha abbastanza potenza motore, si fa una fatica tremenda ad arrampicarsi per i tornanti. Io ci ho litigato con quel taccagno di mio padre, avrei preferito la Toyota Yaris ibrida.

-In effetti la Panda ha 70 cavalli e la Yaris 101.

-Appunto, solo che c’era da spendere cinquemila euro in più. E poi l’assicurazione! Nemmeno la Kasko mi ha attivato.

-Beh, però potresti forse apprezzare il regalo?

-No, guarda, poi ti racconterò altre cose. Spilorcio, è uno spilorcio è basta.

Intimamente trovo un po’ sfrontato il commento, ma Bea non può sapere che i miei vivono in affitto e che in famiglia dividiamo un’auto per tutti, un’utilitaria comprata di seconda mano. Se ne fosse stata consapevole, mi avrebbe invitato ugualmente?

Arriviamo nel bilocale dei suoi genitori, si tratta di uno dei tanti condomini costruiti negli anni ‘80 come seconde case per la borghesia cittadina, che cerca di riprodurre i tratti dell’edilizia montana, come le balconate in legno. Nell’atrio un lungo corridoio piuttosto buio conduce a due diverse ali. L’alloggio (pareti, mobili) è improntato a tonalità cromatiche arancione bruciato; un breve ingresso dà sul salotto living; a sinistra dell’ingresso è stata ricavata un’angusta zona cottura; dal salotto si accede a una camera da letto, con un letto a castello e un altro giaciglio singolo. Non c’è la televisione. Un terrazzino si apre direttamente sul giardino condominiale interno.

Dal momento che è quasi ora di cena, ma in casa non c’è nulla e il frigo è vuoto, decidiamo di farci portare delle pizze a casa, io una capricciosa senza funghi e lei una vegetariana senza zucchine grigliate. Da bere una Coca Zero per Bea e una birra analcolica per me. Noi italiani siamo famosi nel mondo perché se entriamo in quattro al bar, riusciamo a ordinare quattro caffé diversi: lungo, ristretto, macchiato a freddo, decaffeinato. Con le pizze non va diversamente e il fatto che si viva ormai in un mondo senza (senza zucchero, senza caffeina, senza glutine, senza lattosio, senza olio di palma, senza quel che ti pare) rende la vita difficile a barman e camerieri. Terminata la cena giochiamo una breve partita a briscola, poi la stanchezza si fa sentire e ci prepariamo a dormire. Io starò nel divano letto del salotto, lei si sistemerà nella stanza da letto vera e propria. Non succede nulla, nemmeno un bacio sulla guancia. Stiamo senza.

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Per san Silvestro la tavernetta di Vitto è stata trasformata in stile birreria bavarese, con le panchine giallognole e le tavolate su cui è allestito il buffet, preparato con il contributo di ciascuno di noi. Io ho comprato delle bibite gassate e Bea ha preparato nel pomeriggio dei panini dolci ripieni di salumi. Ci saranno una trentina di invitati, la metà dei quali a me ignota. Davide ha la casa al mare e ha preferito organizzarsi in Liguria. 

Vitto entra trionfante dal retro con una bottiglia d’acqua in mano e la posa in mezzo alle birre, ai vini e ai superalcolici. Poi prende una targhetta e la appende al collo della bottiglia: c’è scritto VELENO, con tanto di teschio decorativo. 

-Stasera chi beve questa muore! annuncia con un grido potentissimo.

Bea inizia a conversare con i suoi conoscenti e non mi considera quasi. Io abbozzo qualche parola con chi conosco, ma in realtà mi annoio tremendamente. Detesto le feste, in cuor mio: le considero un’occasione in cui tutti si sentono obbligati a divertirsi e se ciò non accade non puoi nemmeno ammetterlo. Confessare di annoiarsi è persino peggio che farlo. Mi tornano in mente le lezioni del prof. Gardena al liceo. Ogni anno, l’ultima lezione prima delle vacanze natalizie verteva su un’operetta morale di Leopardi, il Dialogo di un venditore di almanacchi e di un passeggere. La leggevamo insieme e a volte faceva svolgere qualche esercizio di drammatizzazione agli studenti, per rendere la cosa più incisiva e divertente. Era un modo per rimarcare che il felice anno nuovo non esiste, che è solo una costruzione mentale legata al fatto che sostanzialmente la vita che conduciamo ci fa schifo e quindi proiettiamo nel futuro le nostre aspettative di felicità e di miglioramento, ma l’avvenire non farà che riproporre le stesse frustrazioni e quindi alla fine la vita passerà e l’avrai vissuta nell’attesa di un miracolo che non arriverà mai, invece che provando a risolvere i tuoi problemi nel presente. La classe non lo capiva, pensava che Gardena esagerasse nella misantropia e pure io faticavo a percepire il messaggio, però crescendo inizio a sospettare che fosse nel giusto. Ma questi sono pensieri impopolari. Parlare della sfiga, proprio non si può. E la morte no, non è mai stata un argomento pop. Tutti vogliono una grande festa. Anche se la notte di Natale del 2019 è stata la più calda da oltre 150 anni.

Sono smarrito in questi pensieri e per sopportare il finto clima festaiolo e l’apparente, nemmeno poi tanto, indifferenza di Bea aggredisco una bottiglia di vodka alla pesca. Scocca la mezzanotte, siamo in un nuovo decennio. Ognuno è attaccato allo smartphone per mandare gli auguri di buon anno all’intera lista contatti; io telefono ai miei perché è tradizione familiare che la prima chiamata dell’anno sia per loro. Verso l’una e tre quarti sono già parecchio stanco e barcollo anche un pochino. Vitto mi dice:

-Andiamo un attimo su in cucina, ci facciamo un caffè, fa passare l’ubriacatura.

-D’accordo.

Non sono molto convinto del rimedio che propone, ma lo seguo. Apprezzo il silenzio perché là sotto il vociare alla lunga è fastidioso. Accende la macchina del caffè e mentre aspetta che l’acqua si scaldi mi illustra le varie cialde disponibili.

-Ho la dek, l’arabica, la miscela oro…

-Va bene l’arabica. Vitto, mi sto proprio rompendo le palle.

-Perché non baccagli. Non ti piace nessuna?

-Più o meno…

Vitto è il cugino di Bea.

-Però dormi da mia cugina, no?

-Non è successo niente.

Ancora niente. Tieni il caffè, va’.

Sorseggiamo il caffè, io arabica, lui miscela oro. Avrei gradito la macchiatura a latte freddo, ma non ne ha in casa. Ci sdraiamo a terra per qualche istante, fissando il soffitto senza parlare. Sonnecchiamo un po’.

-Voglio andare a dormire, annuncio rompendo il silenzio.

-Se chiedi le chiavi a Bea, ti accompagno io in macchina.

La cuginetta non fa una piega al mio proposito di abbandonare la festa, io resto mi comunica, tieni pure le chiavi tanto ho un duplicato, a domattina. Saliamo sulla Audi A1 Sportback bianca di Vitto e meno male che il tragitto è breve, perché nessuno dei due è sobrio. Ringrazio per il passaggio, saluto, entro nell’alloggio, preparo il divano letto e mi addormento quasi subito.

Alzo la testa di scatto, allarmato, quando sento armeggiare alla porta. Guardo la sveglia. Le 4.44. Lo scatto della serratura precede di poco le risate. Bea entra in casa con Nino. Sono evidentemente alterati. In realtà non si chiama Nino sul serio, ma siccome lo avrò visto solo due o tre volte nel nostro giro e poiché è basso con un caschetto biondo che lo rende un sosia di Nino D’Angelo, io e altri abbiamo iniziato a soprannominarlo Nino. Bea ride in modo sguaiato e nessuno dei due pare minimamente preoccupato per il mio sonno interrotto. In fondo non è casa mia.

-Scusaci, ma ci è venuta fame. Ora si prepara il primo pasto dell’anno nuovo. Spaghetti con aglio, olio e peperoncino.

Io rispondo con un grugnito e provo a riaddormentarmi. Sento che Bea ripete la stessa lamentela della Panda e della Kasko. Nino annuisce e finge di essere scandalizzato, è chiaro che pregusta la seconda portata e solo quella gli interessa. L’odore di aglio soffritto nell’olio invade l’ambiente. Nino scola la pasta mentre Bea termina il condimento. Poi ributtano tutto in pentola, mescolando, e mangiano lì dentro, senza versare il cibo in alcun piatto, con le forchette di plastica, prendendo bocconi alternati.

Si ritirano nell’altra stanza chiudendo la porta. Sento chiacchiericcio e risate, specie di Bea. Dopo una quarantina di minuti non si percepisce più suono e finalmente posso riposare.

Un incubo mi risveglia di soprassalto. Sono in un pub con Bea e stiamo bevendo. Dagli sguardi e dai discorsi si intuisce che stiamo diventando sempre più intimi, si annusa che sta per verificarsi qualcosa, finché lei non mi dice seguimi in bagno ma non subito, fra qualche istante e inizia ad avviarsi. Io guardo l’orologio e attendo quattro minuti. Mi alzo dallo sgabello per raggiungerla, ma in quel preciso momento le porte del locale si spalancano. Un uomo armato di pistola si dirige verso di me, gli altri avventori fuggono urlando o si rifugiano sotto i tavolini. Quando realizzo che il motivo dell’irruzione sono io, corro verso i bagni in cerca di riparo. Lo sconosciuto mi insegue. Alla fine sono bloccato contro il muro della toilette, terrorizzato. Di Bea neanche una traccia. Mi sveglio di colpo quando i proiettili mi perforano il petto e il sangue schizza sul lavabo e sugli specchi.

Guardo l’ora. Sono le 12.36. Nino e la mia ospite dormono ancora. Vitto nel pomeriggio torna a casa e mi ha offerto un passaggio, devo farmi trovare da lui alle tre e mezza. Leggo qualche messaggio di auguri al cellulare. Controllo su repubblica.it il numero di morti e feriti nel napoletano. Mi preparo un tramezzino alla salsa tonnata e un caffè doppio. Riordino lo zaino ed esco senza far rumore.

Le strade sono deserte, il primo dell’anno difficilmente si incrocia un passante in mattinata. Giro tutto il paese, avanti e indietro due volte e lascio che la frescura mi punga il viso. Quando infine avverto la stanchezza, mi accomodo su una panchina, estraggo gli auricolari, li infilo nei padiglioni e apro Spotify. Cerco la playlist dei Kasabian che ho creato la settimana prima e partono le note di You’re in Love With a Psycho. I Kasabian sono immensi, ma sottovalutati, penso. Meriterebbero un successo maggiore. Forse lo meriteremmo tutti.

Vitto mette in moto e dopo qualche minuto siamo in autostrada a 160 km/h.

-Allora, com’è andata con Bea? È successo qualcosa? O almeno è cominciata?

-No, guarda, non è come tu pensi. E poi stanotte ha dormito con Nino D’Angelo.

-Quello? Ma non è possibile, Nino ha lasciato la festa poco dopo di te.

-Non so cosa dirti. Sono rientrati insieme a casa di Bea e hanno pure cucinato alle cinque del mattino.

-Lui le sta dietro, ma Bea mi aveva detto che le faceva schifo; secondo me è stato solo per vedere la tua reazione. 

-A me non interessa cosa sia capitato, giuro.

-Valle a capire le ragazze. Ora la chiamo e le chiedo…

-Per favore, lascia perdere.

Vitto compone il numero ugualmente. 3… 4… 3…

-Vitto, ti dico che non è importante.

-Per me è importante. Con un tamarro di barriera! 2… 8… 4…

Alla fine il telefono squilla.

-Ciao cugi, Nino D’Angelo è ancora da te? Ho saputo che ha dormito lì stanotte… perché sto riportando a casa Tommaso… Ah. Se ne è andato alle due, capisco. 

Segue un discorso di Bea che non distinguo. Vitto riattacca.

-Fumata nera. Niente patatrac. È rimasto senza. Conferma che intanto non le piace per niente, poi lui a un certo punto è collassato sul letto e si è addormentato a bocca aperta. Si sente ancora puzza d’aglio ovunque. Le dispiace di essere stata una pessima ospite.

-Perché non me lo dice di persona?

-Ti chiamerà, vedrai.

-Non è necessario.

-Mia cugina non è stronza, sai, però si porta dentro insicurezze. Te l’ha detto che è completamente sorda da un orecchio? Ci sente solo col destro, malformazione congenita. Quindi ha bisogno di conferme. Non è altissima, in più ha questa disabilità, poco conta che abbia un bel viso e un seno generoso. È la prima cosa che mi dicono… certo che tua cugina ha due bombe! Però lei teme che appena questo si sappia, il problema dell’udito intendo, la gente si defili. È solo una che cerca attenzioni.

-Come tutti. Magari pure io mi vergogno di qualcosa e non metto certo i manifesti… Però non invito Caio a casa mia, per poi far baldoria con Tizio.

-Madonna quanto sei difficile. Ma se ha detto che non era niente. Fatti tuoi. Dà fastidio la radio?

-No, grazie.

-Tengo basso.

Mi assopisco per il resto del viaggio. Non so per quanto dormo. Vitto mi scuote le spalle, sveglia Tommy, sei arrivato.

La radio passa un pezzo degli U2 mentre l’auto accosta al marciapiede per farmi scendere.

All is quiet on New Year’s Day

A world in white gets underway

I want to be with you

Be with you, night and day

Nothing changes on New Year’s Day

On New Year’s Day.

-Comunque, sul serio, se non ti chiama lei fallo tu. Di nuovo buon anno, ci sentiamo.

-Buon anno, buon anno, buon 2020, la chiamerò, d’accordo, mi hai convinto, sarà un anno splendido, ne sono sicuro.