Lacrime di coccodrillo

Lacrime di coccodrillo

Dicono che quando uno muore non si accorge più di nulla, ma non è vero. In realtà si continua a vagare vicini al proprio corpo per 47 giorni prima di abbandonarlo definitivamente. Ed è per questo che ho visto tutto. Ho visto il pianto di mia madre che mi ha trovato esanime in terra sull’asfalto dopo un volo di 18 metri. Ho visto il vicino di casa incazzarsi perché nell’impatto ho ammaccato il cofano della sua 200 TE SW appena acquistata. Ho visto l’imbarazzo composto di Teresa, incredula per quanto avvenuto. Ho visto la gente dimenticarmi dopo il funerale e riprendere a fare la vita di sempre come se io non fossi mai esistito.

Il giorno delle esequie c’erano tutti i miei compagni di classe, qualche professore e i parenti. Il prete nella sua omelia ha detto che in apparenza può sembrare devastante che a morire sia un ragazzo di 19 anni, ma poi ha aggiunto che i disegni divini sono imperscrutabili e che ci si deve appellare alla Fede per accettare l’inaccettabile, comprendere l’incomprensibile e superare l’insuperabile. Nessuno ha battuto ciglio, ma io potevo leggere i pensieri dei presenti e ho riscontrato più di una perplessità riguardo all’invito formulato. Il fatto è che da vivi non si comprende minimamente cosa ci sia dopo, non si ha idea del fatto che alla velocità del pensiero il tempo-spazio appare come un quadro osservato da esterni, nel quale ogni evento è presente in simultanea e dove la stessa nozione di passato presente futuro, semplicemente, non ha senso. Comunque sappiate che Dio esiste, ma non nelle forme in cui lo immaginate. Esso è la legge cosmica ed è una legge fisica. Dovete immaginarvi come parte di una sola grande coscienza universale. Una sola cosa rimprovero a Dio: le modalità di ricambio che ha stabilito. D’accordo, c’è bisogno di decomporre e ricomporre in eterno i mattoncini dell’universo: ma non si poteva prevedere di farci andare via nel sonno, semplicemente spegnendoci? Perché infierire con atroci sofferenze per la dipartita? Un aumento di entropia inutile.

Ma non è di questo che voglio parlare.

La prima volta che l’ho vista è stato lo scorso settembre, il primo giorno di scuola. Ci eravamo già seduti ai nostri posti, lei è entrata in ritardo quando il prof aveva già iniziato a parlare, con la sua camicetta giallo chiaro, la mini di jeans e le sneaker. Non ha salutato, non si è scusata. Si è diretta verso l’unico posto libero, accanto a me, ha continuato a tacere e ha iniziato a prendere nota della lezione.

Ora, mi rendo conto che se aggiungessi alla sua descrizione il fatto che è bionda con gli occhi azzurri, il tutto parrebbe decisamente banale e oleografico, ma non posso farci nulla. Così apparve e per questo mi sento di dichiarare che mi fulminò all’istante. Amore a prima vista. Non ho smesso di sbirciarle le cosce nemmeno un attimo, quella mattina.

Il giorno dopo si è presentata, durante un cambio d’ora. 

-Mi chiamo Teresa.

-Ti sei trasferita qui da un’altra scuola?

-No, sono ripetente.

-Ma… la percentuale di promossi alla maturità supera il 95%!

-Mi hanno bocciato perché non mi sono presentata agli scritti.

-Cosa?

-Non ho voglia di parlarne.

Mi ha lasciato di punto in bianco (come una statua di sale) e si è diretta al bar di istituto.

Un mese dopo ci siamo visti alla biblioteca civica per fare insieme la versione di latino, o meglio io traducevo e lei ricopiava fedelmente. Il brano era la favola XXV di Fedro, quella sui cani e i coccodrilli. Un testo cortissimo e brevissimo, da principianti, che il professor Lazzari  aveva dato proprio per tirare su le medie; non c’era bisogno di andare in biblioteca e nemmeno di essere aiutati, ma Teresa con il latino non va d’accordo.

-Secondo te i coccodrilli piangono davvero? Si dice sempre “lacrime di coccodrillo” quando uno finge di pentirsi per qualcosa, ma poi chi l’ha visto davvero piangere, un coccodrillo?

-Da noi vederne è un po’ difficile. Ma ho letto di una ricerca che dimostrerebbe che alcuni rettili versano davvero lacrime durante un pasto, solo che molto probabilmente lo fanno per motivi biologici piuttosto che emotivi. E tu, hai pianto lacrime di coccodrillo dopo essere stata segata alla matura?

-Vaffanculo, Valerio.

Mi lascia di punto in bianco (come una statua di sale) e abbandona nella sala da lettura lo zainetto con dentro le sigarette, l’accendino, la bottiglia d’acqua, i libri di scuola, una copia de L’insostenibile leggerezza dell’essere di Kundera col segnalibro a pagina 44 e tutto il resto.

Non avrei dovuto curiosare dentro, lo ammetto. Soprattutto non avrei dovuto leggere il suo diario, che è interrotto a lunedì 23 maggio 1988 (san Desiderio). 

Caro diario,

oggi è un giorno molto triste anche se è il mio compleanno. Nel pomeriggio ho incontrato il mio ragazzo Lorenzo e mi ha detto che è confuso, che è già uscito diverse volte con un’altra. Mi ha rassicurata sul fatto che non è successo ancora nulla ‒così ha detto, ancora‒ ma delle rassicurazioni dei maschi non ci si può fidare. Ha chiesto tempo per pensare, un mese, e gliel’ho dato. 

Mi sento spenta. Non riesco ad aprire libro e tra tre settimane dovrei dare l’esame. Non faccio che fumare. Che cazzo di compleanno.

Non ha annotato più nulla. Appena ho finito di leggere il diario ho preso carta e penna e le ho scritto una lettera per giustificare la mia battuta fuori luogo.

Cara Teresa,

oggi non hai mollato solo me lì in biblioteca, ma anche il tuo zainetto con un sacco di roba dentro. Credo che tu non possa stare senza sigarette nel weekend, così quando vuoi posso passare sotto casa tua a dartelo indietro. Immagino che tu ti sia fatta di me l’idea di un cinghiale insensibile, ma non è così. Sono solo uno che non riflette abbastanza prima di parlare. Vorrei potermi scusare con te di persona per la frase che ti ho rivolto. Per favore chiamami.

P. S. Sono sinceramente dispiaciuto e non sono lacrime di coccodrillo

Ho trascorso il fine settimana in camera mia, sdraiato sul letto in attesa che squillasse il telefono, ma non mi ha chiamato. Lunedì mattina ho depositato lo zainetto sulla sua sedia. Quando lo ha notato, arrivando in ritardo come d’abitudine, lo ha agganciato allo schienale, si è seduta e siccome l’appello non era ancora terminato non mi ha rivolto parola.

La prof.ssa Taddei ha iniziato a spiegare. Nonostante il suo ghiaccio spesso, l’Antartide è classificata come un deserto a causa delle scarse precipitazioni nell’area. Le regioni interne del continente ricevono una media di 50 millimetri annui di precipitazioni, principalmente sotto forma di neve. Cade più pioggia nel deserto del Sahara

Continuiamo a prendere appunti il più velocemente possibile, chinati sui fogli, perché per la Taddei conoscere la disciplina significa che all’interrogazione devi saper ripetere parola per parola quanto ha detto in classe.

…la vita vegetale in Antartide è limitata a sporadici muschi, licheni e alghe. La copertura stagionale del muschio in Antartide, in particolare nella penisola che è in rapido riscaldamento, è aumentata costantemente negli ultimi 50 anni. Gli scienziati si aspettano che il freddo continente diventi ancora più verde man mano che le temperature globali continuano ad aumentare.

Suona la campanella. Teresa si alza per andare in bagno, ma prima confabula con la professoressa. Quando rientra sposta tutta la tua roba e si trasferisce nella fila allineata sotto la finestra, in terza fila, accanto al posto di Zaccone che si è ritirato. Interrogo con lo sguardo verso la cattedra, mi viene fatto cenno di non preoccuparmi e di non intromettermi.

Per una settimana è come se fossi trasparente. Alla fine di quella successiva, sui gradini davanti alle vetrate d’ingresso mi rivolge la parola:

-Sabato pomeriggio potremmo fare un giro in centro, a vedere un po’ di negozi. Ti va?

-Perfetto, non ho altri impegni.

-Però non venire sotto casa. Mia madre rompe. Ci vediamo alle 15 davanti alla banca a due isolati da casa mia.

Giunto a casa telefono al mio compagno Ernesto: senza fornire troppe spiegazioni avviso che sabato non potrò accompagnarlo a vedere suo fratello minore giocare da portiere, per gli ospiti, in Lupa Roma-Lodigiani Under 14. Mi spiace perché lui non ha ancora la patente, ma dovrà andare a San Basilio con qualcun altro.

Sono davanti alla banca alle 14,45. Nell’attesa osservo il traffico e faccio un gioco che impiegava le mie serate estive da bambino, quelle nelle quali i figli dei ricchi si trasferivano nella seconda casa a Fregene e quelli dei meno ricchi non andavano da nessuna parte. Annoto le marche delle auto che passano e stilo la classifica delle più diffuse. Fiat… Renault… Fiat… Fiat… Volkswagen…. Fiat… Ford… Fiat… Renault…

Alle tre e dieci Teresa non è ancora arrivata e il gioco inizia a perdere interesse. Mi metto a leggere i pannelli esplicativi della filiale del Banco di Roma. In mezzo c’è anche un poster vecchio di quattro o cinque anni: lo hanno lasciato perché raffigura la Virtus sponsorizzata Bancoroma, Campione d’Italia 1983 Campione d’Europa 1984 Campione Intercontinentale 1984. Insomma, campione di tutto come non sarà mai più. Il mio preferito è Solfrini che gioca da ala e ha vinto la medaglia d’argento a Mosca con la nazionale nel 1980. Teresa non si vede. Sono le tre e quaranta. Ho l’idea di andare in cerca di una cabina telefonica per scoprire che fine abbia fatto, ma poi mi dico: e se arriva mentre non ci sono? Penserebbe che ho dato buca e mi trasformerei definitivamente in un cinghiale insensibile. Così resto lì e mi siedo sul gradino. Alle quattro e cinque desisto e torno a casa. Ormai è tardi anche per raggiungere Ernesto. Non sono nemmeno arrabbiato, sono soltanto avvilito. È sua madre a rispondere: gliela passo subito. Mi dà del lei. Gliela passo.

-Che è successo? Ti ho aspettato per un’ora.

-Guarda, sono un po’ incasinata. Me ne sono dimenticata.

-Dimenticata? Come fai a scordare un appuntamento? Se volevi vendicarti per la biblioteca, direi che siamo 1-1 adesso. E palla al centro. 

-No, guarda, nessuna vendetta. Solo casini. Ti chiedo scusa.

-E quando ci possiamo vedere, allora?

-Non lo so. Lunedì a scuola.

Riattacco incazzatissimo, perché se c’è una cosa su cui non transigo è la puntualità. Arrivare in ritardo significa non rispettare il prossimo. Il mio concetto di “essere in orario” è giapponese: almeno cinque minuti di anticipo. Una volta Ernesto si è presentato mezz’ora dopo quanto stabilito e gli ho fatto una scenata che lui ha giudicato eccessiva, ma che ricorda ancora. Figuriamoci quindi tirare un bidone. Senza avvisare.

Ernesto mi comunica che la Lupa Roma gliene ha fatti cinque, sabato: 5-1 per essere precisi e allarga la mano, agitandomela a 20 centimetri dal naso, per sottolineare la disfatta. Siamo andati in vantaggio al 7’ su rigore ma poi niente, ci hanno massacrati nel secondo tempo. All’uscita da scuola Teresa non saluta nessuno e sale su una Lancia Thema blu scuro a iniezione elettronica 16v, quella che raggiunge i 202 km/h. Alla guida c’è un ragazzo dalla corporatura eccessivamente magra, la barbetta incolta da giorni stile finto trasandato e un curioso cappello nero con la tesa piatta. Michele ha notato la mia tensione e mi ha aperto gli occhi: guarda che lo conosco, si è diplomato lo scorso anno, stavano (stanno?) insieme.

-E che fa ora? 

-Mi pare Economia a Roma Tre, però suona pure in una banda. Sono in cinque. La vera occupazione è quella. Lo scorso inverno sono andato a sentirli qualche sabato sera nei pub, lui fa il bassista. Discreto, ma Simon Gallup non ha nulla da temere. Si chiamano Penta-moon.

Considero con me stesso che tra un latinista da biblioteca che gira in Horizon Talbot e una futura rockstar che guida macchine ultrarapide non c’è partita, un po’ come per la Lodigiani di sabato scorso. E invece Teresa mi invita per una pizza il sabato sera seguente, devo farmi perdonare per l’imbroglio della settimana passata adduce come motivazione.

-Di che parla Kundera? Domando appena il cameriere ha terminato le ordinazioni.

-Ci sono quattro personaggi. Un chirurgo, la sua compagna, l’amante e poi anche l’amante dell’amante. 

-Avrebbe dovuto intitolarlo Tutti vanno con tutti allora. E come mai una che è fidanzata passa il sabato sera con me invece che col suo tipo? 

-Beh, scusa, stiamo solo mangiando. Poi non è molto geloso. Tenevano un concerto e non mi andava di sentirli per la trentacinquesima volta.

Stiamo solo mangiando quindi. Come se il pasto insieme non fosse una metafora erotica. Il fatto che non mi nasconda Lorenzo ha varie interpretazioni. La prima è che rendendo palese la sua esistenza erige una barriera: no, non è mai, non è noi. Devi farti bastare questo. La seconda è opposta: proprio perché c’è, ma io ora sono qua e non là, esiste uno spiraglio che devi sondare. La osservo mangiare la pizza partendo dal cornicione e poi tagliando a triangoli la parte che rimane, e mi viene da pensare che è esageratamente bella. L’enorme bellezza è uno svantaggio, non una fortuna, perché tu puoi avere tutti senza sforzi e perché gli altri si fermeranno alla superficie. Non c’è più spazio per la profondità. Mi dico che ne sai, non ti hanno mai detto di no. Tu non hai mai pianto e non sai che cosa sono i non si può. Te ne freghi, tanto no, non lo sai cosa vuoi, cosa stai cercando. No, non è mai, non è noi.

-Ti racconto. Alle medie ero considerato il più brutto della classe: ricordo che un giorno durante la lezione di matematica è girato un foglietto. C’erano segnati i nomi di tutti, con la colonna dei maschi e quella delle femmine, e bisognava votare i più belli. Indovina chi è arrivato ultimo? Però una mia compagna ha votato me e le sue amiche quando se ne sono accorte l’hanno presa in giro per tutto l’intervallo. Donata ama Valerio! Donata ama Valerio! gridavano per la classe e nei corridoi. Una cosa bella si è trasformata in roba da vergognarsi. Dopo due mesi siamo andati in gita e abbiamo visitato l’abbazia di Farfa. Quasi a fine giornata, i professori ci hanno detto, in barba all’obbligo di sorveglianza: siete in terza media, facciamo un esercizio di autonomia, vi diamo un’ora libera e ci vediamo alle quattro qua davanti al parcheggio del bus. Io e Donata abbiamo fatto un giro procedendo verso i ruderi dell’abbazia di San Martino, allontanandoci da tutti gli altri. Camminavamo in silenzio, tenendoci per mano. A un certo punto ci siamo fermati, mi ha detto guarda che non scherzavo mica nei bigliettini e di colpo mi ha abbracciato. Poi mi ha baciato. Con la lingua. Senza preavviso. Ero sorpreso e colpito, ma soprattutto in impaccio perché per me era la prima volta però capivo che lei era già esperta, così mi sono anche un pochino vergognato. Ci siamo resi conto che era tardissimo e quindi ci siamo affrettati verso il pullman; quando siamo arrivati erano le 16 e 20. Tutti i compagni erano già a bordo e la prof. di italiano aspettava in piedi davanti al portellone, con lo sguardo ingrugnito e i polsi sui fianchi, come Mussolini dal balcone di corso Venezia. Ci ha apostrofati: razza di incoscienti, ma dove vi eravate cacciati, lo vedete che aspettiamo solo voi?

Ma il peggio è stato una volta saliti. Erano rimasti solo due posti davanti, proprio accanto all’autista e quando siamo entrati siamo arrossiti entrambi, perché tutti avevano capito il motivo del ritardo. Appena l’autista ha messo in moto si sono scatenati. Ti è piaciuto? Era la prima volta vero? La lingua l’ha usata? Ti è venuto duro? e cose di questo tipo. Ho finto di assopirmi e non ho ribattuto, ma avrei voluto sprofondare. Mi odiavano, quei quattro stronzi sfigati. Già mi prendevano in giro perché ascoltavo Vasco Rossi e loro Eros Ramazzotti. Però adesso io vado al liceo e sto per diplomarmi e poi andrò all’Università e diventerò un giornalista sportivo; loro sono già a fare l’apprendista dal meccanico o dal pasticciere, con tutto il rispetto.

-E come è finita con questa Donata?

-Mah, a 14 anni non è che sia possibile avere ‘sti grandi amori. Ci vedevamo una volta a settimana dopo la scuola per andare in centro, ma un po’ mi vergognavo perché in classe ci deridevano tutti, un po’ intuivo che lei aveva già un suo giro di amicizie del weekend dal quale però ero categoricamente escluso -forse si vergognava pure lei di me- e così dopo un mese le ho detto che mi ero stufato di vederla. E tu, non hai nessuna rivelazione?

-Mia madre è pugliese e d’estate andiamo al mare dai nonni sul Gargano. I ragazzi del posto subiscono ancora il fascino della forestiera ed è un continuo tentativo di approccio: per strada, in gelateria, in spiaggia. I fischi mentre passi in motorino. Sai quale voce spargo per scoraggiare gli ammiratori? Che sono lesbica. Funziona. Dopo diventi un’appestata.

-Però non sei lesbica. C’è Lorenzo. Esci con me da mesi e anche se non è capitato niente, immagino che tu lo intuisca che non è solo amicizia… credo che sia ora di fare un po’ di chiarezza… di imboccare una direzione, no? 

-Io non me la sento di lasciarlo. Ne abbiamo passate tante insieme…  e lo scorso anno è stato complicato rimettere le cose a posto.

-Ma scusa, non ti ha cornificata?

-Devo confessarti una cosa. Non ne ho parlato con molti, ma di te mi fido. Da bambina sono stata abusata e questo mi ha… cioè… io non riesco…. non riesco a stare con un uomo come a volte lui vorrebbe, ecco. Non è che mi manchi la voglia, è che poi a un certo momento mi blocco e divento come una statua di sale. Lo attraggo, ma poi lo respingo. Non è semplice per chi mi sta accanto. Lorenzo ha avuto uno sbandamento, lo so, ma ha delle scusanti.

-Non mi stai raccontando storie come fai in Puglia, vero?

-Sono stata in terapia per anni e non ne sono fuori. Non del tutto.

-Ma non lo avete denunciato?

-Era uno di famiglia. Uno zio. Mia madre gli ha parlato e ha fatto un patto: tu ti trasferisci a migliaia di chilometri e te ne vai magari in Germania, io non denuncio. Ora sta a Francoforte che io sappia. Quindi, ascoltami: con me saresti infelice, non potrei regalarti nulla di quello che si dà di solito. 

Sono annichilito. Sento le mani di quello sconosciuto sul mio corpo e mi sento violentato come la bambina di cui sono innamorato. Mi alzo e vado in bagno a versarmi un po’ di acqua sul volto. Sono anche offeso dalla presunzione di incapacità che mi ha affibbiato Teresa, però. Come se io non avessi la forza di sostenerla, come se avesse già stabilito che la mia anima è gracile ‒senza possibilità di appello. Per quella sera non abbiamo più parlato.

La notte, non ho chiuso occhio. Piangevo continuamente, a occhi spalancati, rigirandomi nel letto e nel buio; nei brevi momenti di sonno gli incubi erano animati da un orco che diceva a una graziosa bimba bionda con occhi celesti vieni che facciamo il gioco della schiuma del mare. Bastardo. Mi addormentavo piangendo. Bastardo. Mi risvegliavo e piangevo. 

Abbiamo proseguito a frequentarci, soprattutto a vederci a casa sua per preparare qualche interrogazione o qualche versione. Ogni tanto un sabato sera insieme, ma di noi non abbiamo più osato parlare dopo quella rivelazione e io ho accuratamente evitato l’argomento.

Ma si avvicina la fine dell’anno scolastico e sono impantanato in una palude sentimentale, senza fare progressi né potermi staccare. Passo la maggior parte del mio tempo libero sdraiato sul soffitto, ad aspettare una telefonata, quando arriva: perché è sempre lei a decidere se, quando e come incontrarsi. Oppure si presenta in ritardo, naturalmente senza giustificare. Come mai accetto tutto questo? L’amore rende veramente stupidi. Teresa è scusata dalle vicende della sua infanzia? Si può legittimamente trasferire la propria sofferenza sugli altri? 

L’ultima volta che l’ho vista, forse avrà notato una punta di stanchezza, una certa mia accidia. Eravamo impegnati con la lezione di scienze. I sei elementi più comuni negli esseri viventi sono carbonio, idrogeno, ossigeno, azoto, fosforo e zolfo. Gli atomi di questi elementi combinano e formano migliaia di grandi molecole. Queste grandi molecole compongono le strutture delle cellule e svolgono molti processi essenziali per la vita. A un tratto Teresa ha sorriso, ha smesso di leggere a voce alta, ha tirato fuori dal cassetto una foto e me l’ha sporta.

-Tieni, secondo me apprezzerai. Però non mi sputtanare, eh? È dell’estate scorsa. 

È una polaroid che la ritrae al mare, in bikini. La mutandina è molto sgambata, a strisce bianche e rosse alternate in orizzontale; le coppe sono blu fluorescente con delle stelle bianche. Il tutto ricorda la bandiera degli USA. Teresa è sopra uno scoglio e posa di tre quarti verso l’orizzonte, senza guardare in camera.

-Notevole il cielo azzurro, vero? Facciamo così, la infilo qua dentro così non si rovina e non si vede… tienilo pure il libro di Kundera, te lo presto, tanto l’ho finito.

E piazza la foto alla metà esatta del volume.

Ci sono errori che hanno conseguenze minime e altri che assolutamente occorre evitare, ma non starò a farne il catalogo. Certo non avrei dovuto aprire la bustina con sopra scritto A L. che Teresa ha dimenticato nel libro; certo lei avrebbe dovuto ricordarsene prima di posizionare la foto a mo’ di segnalibro. A pagina 84 invece c’è un biglietto, anzi due, per Lazio-Inter del 4 giugno 1989. Finita 3-1 per gli ospiti in rimonta, dopo l’iniziale e illusorio vantaggio dei biancocelesti.

Sono stato indeciso quando ho notato la lettera inserita a cinque sei pagine dal fondo, in mezzo agli ultimi titoli pubblicati. Però da morto posso assicurarvi che il caso non esiste e nemmeno il libero arbitrio. Esiste un Piano già scritto e tutto ciò che deve accadere, semplicemente, accade. Alla fine l’ho aperta.

Tesoro mio, Lorenzo caro,

mi spiace molto che tu mi abbia fatto quella scenata quattro giorni fa perché ogni tanto esco con un mio compagno di classe. Devi credermi, non c’è stato NIENTE né ci potrà mai essere. Non conta proprio nulla quello! Fisicamente lo trovo repellente e per il resto è molto anonimo. Però ho bisogno di passare l’esame, non posso farmi ribocciare. Mi rendo conto solo adesso, forse, che l’ho usato per vendicarmi con te rispetto alla crisi che abbiamo passato lo scorso anno. Per ingelosirti. Probabilmente desideravo proprio che tu mi facessi la piazzata che mi hai fatto, e quindi in definitiva sono contenta (e non dispiaciuta) di avere rafforzato le tue attenzioni. Non lo rivedrò più finita la scuola, però per favore non tenere il telefono di casa sempre occupato. Ti bacio, T.

Sarà stata una palla anche la storia degli abusi? Questo nemmeno nell’aldilà ho potuto scoprirlo, perché il quadro che si vede è solo quello della propria vita, le altre restano inaccessibili -come da vivi.

È mattina presto, per le strade camminano poche persone. Ho spalancato la finestra e sono uscito sul davanzale. Mi ha sempre affascinato il volo, da bambino trascorrevo ore a osservare le rondini volteggiare nel cielo nitido e terso di fine estate, pochi giorni prima che la scuola iniziasse. Su un foglio lasciato in cucina ho semplicemente annotato: lacrime di coccodrillo. L’ho appoggiato sopra il libro di Kundera.

Come in ogni viaggio, il primo passo è il più difficile. Se si supera la paura del vuoto, se si ha coraggio di compiere quel salto e allargare le braccia, si può diventare rondini e assaporare l’aria in faccia. A scuola ci insegnano che (se trascuriamo la resistenza dell’aria) la velocità V (misurata in m/s) di un corpo in caduta libera dopo t secondi dal momento in cui viene abbandonato alla forza di gravità è data dalla formula V = g · t dove g = 9,81 m/sec2 è la costante di accelerazione di gravità; lo spazio (in metri) che percorre in quel tempo t è s = ½  g · t2.

È una legge fisica. Ci metterò poco meno di due secondi e cadrò a circa 70 km/h. Il tonfo farà sì che tutti si affaccino alla finestra. Le rondini piangono, a volte, come i coccodrilli? E come si distribuiranno i miei elementi?

È il 25 giugno 1989. L’Inter vince il suo tredicesimo scudetto con 11 punti di distacco sul Napoli, dopo aver dominato il torneo, entrando nella storia.