Le occasioni

Le occasioni

Io non so perché, ma più le cose sono vietate e più ti capitano occasioni di farle. L’infedeltà per esempio. Con Teresa conduco una vita da astinente, non si batte chiodo. Finora ho sempre rigato dritto, ma a volte è proprio difficile rimanere seri. Dopo ogni concerto della band è un viavai di ragazze che vengono a complimentarsi con il gruppo, ti chiedono del prossimo live e intanto ti infilano in tasca il bigliettino con il loro numero, tienimi informata sulle date mi raccomando e intanto fanno l’occhiolino lisciandosi i capelli. Per non dire di quelle che lanciano i reggiseni sul palco: succede sempre quando attacco con l’assolo durante L’insipienza inappetente della supponenza, l’hit single contenuta nella nostra prima demo, intitolata semplicemente Arrivano i Penta-moon

Il guaio di Teresa è che, con ciò che ha passato nell’infanzia, si vive in un continuo odi et amo. Ti si avvicina, gioca ad accenderti, ma poi di punto in bianco si rabbuia e dice Lorenzo non ce la faccio, mi spiace. E si raggomitola tutta su se stessa nel letto, per non mostrare che sta piangendo. Sarei giustificato nelle mie trasgressioni se si verificassero, direte voi, ma si dà il caso che io sia davvero innamorato di Teresa. Aggiungiamo che l’Italia è un paese cattolico e tutti, persino atei e agnostici, volenti o nolenti hanno assorbito la morale cristiana del non desiderare la donna d’altri e del non commettere atti impuri. Se non fosse esistito il cristianesimo, la gente farebbe come i bonobo, ne sono certo. Però è esistito e ci condiziona nell’etica sessuale: per i musulmani è impuro cibarsi di suini, per i cristiani è impuro avere una vita erotica e per i buddhisti sono veleni odio, rabbia e ignoranza. A ciascuno i propri tabù, valutate voi quanto fondati.

Così l’altro giorno nel backstage, dopo che una fan dalla maglietta attillatissima con sopra la scritta Drive me crazy dentro a un cuore rosso fuoco mi aveva passato il numero suo e dell’amica che le stava a fianco (decisamente più anonima), ho stilato una casistica delle possibili frequentazioni femminili:

  • ci sono quelle che ami e con le quali concludi (future fidanzate e mogli);
  • ci sono quelle che non ami, ma con le quali concludi (le cosiddette one night stand, come cantano i Duran Duran in Save a Prayer);
  • ci sono quelle che non ami e con le quali non riesci a concludere (il famoso due di picche di EeLST).

Per le persone nella mia situazione servirebbe però un’ultima categoria: quelle che ami e con le quali non concludi. Teresa, appunto.

La musica è importante, ma sono consapevole che difficilmente potrò vivere di rock; in casa si è raggiunto un compromesso, in pratica nessuna opposizione all’hobby ma obbligo tassativo di proseguire gli studi e di entrare nell’azienda di famiglia. Hobby è e tale deve rimanere. Siccome mio padre è commercialista, uno dei più affermati nella capitale, ho optato per Economia aziendale a UniTre; voglio chiedere la tesi a Cubello d’Arborea perché il diritto tributario internazionale sarà un segmento in forte espansione, afferma mio padre, specialmente se l’Unione Europea diverrà una realtà. L’assistente, Marco Alessandri, mi pare molto preparato e disponibile, ed è uno che ti segue passo passo nella redazione. Tra l’altro, si mormora che stia con una studentessa della mia età, un’attivista di Azione studentesca che sembra avviata a una brillante carriera politica. 

La prima occasione si è presentata proprio nello studio paterno. In ufficio vige un codice comportamentale piuttosto stretto, quanto all’abbigliamento: donne rigorosamente in tailleur con gonna ben sopra il ginocchio, camicetta (possibilmente con qualche bottone slacciato) e tacco alto. Se c’è pure lo smalto sulle unghie, tanto meglio. Non è questione di essere sessisti, rassicura mio padre al colloquio di assunzione quando si presenta una neodiplomata in ragioneria, ma dal momento che è assodato che la bella presenza aiuta il commercio e constatato che la maggior parte della nostra clientela è maschile, bisogna che uno sia contento di venire in studio, anche solo per rallegrarsi la vista, dato che in genere ci viene per sapere quante tasse pagherà. Prendetela come una misura di salvaguardia dell’occupazione: se l’ing. Zurletti o il commendator Ascani frequentano con piacere e spesso, magari pure spargendo la voce nel giro dei conoscenti circa l’avvenenza delle collaboratrici, la clientela aumenta, gli affari girano bene e alla fine è meglio per tutti. Dopo un discorso simile, che non fa una piega, nessuna osa protestare. E gli affari in effetti vanno benissimo.

Lorenza è la decana delle collaboratrici, impiegata nello studio da quindici anni. Dopo il diploma al Calamandrei nel 1974, con 60/60, è stata subito assunta alla “Tassinari & Associati” e ne rappresenta il cuore amministrativo: non c’è pratica che non passi dalle sue mani laccate di corallo. Ora ha 34 anni ed è sposata da 10 con un panettiere che probabilmente non la soddisfa come lei vorrebbe, del resto Lorenza è irrequieta di suo e con le colleghe non fa mistero delle proprie avventure. Non ha figli: si mormora che sussista qualche problema di fertilità, ma non si capisce di quale dei due coniugi. Da parte sua, un panificatore di solito si sveglia verso le 2 del mattino, perché i prodotti vanno venduti all’apertura del forno, alle 8. A mezzogiorno il suo lavoro finisce e va a dormire, perché è stravolto. Spesso un panettiere si sveglia anche prima delle due, a mezzanotte, e alle 10 di mattina è già a letto. Da ciò si capisce che quella del panificatore non è una quotidianità facile e soprattutto richiede molti sacrifici. Anche coniugali.

Ogni tanto vado in ufficio da mio padre per imparare sul campo come si porta avanti l’attività. La  pausa pranzo è appena terminata e Lorenza inganna i pochi minuti che la separano dalla ripresa del lavoro mollemente adagiata a gambe accavallate sul divanetto dell’ingresso, sprofondandoci, il che rende la gonna ancora più corta. Accende una Marlboro, me ne offre una (che rifiuto) e mi domanda: 

-Come vanno i concerti del sabato sera? Sono certa che riscuoti successo anche dietro al palco, ammicca, avrai un sacco di ammiratrici… ce l’hai la fidanzata? Sarà un po’ gelosa.

-Ce l’ho, ma non viene spesso a sentirci. Dice che dopo le prime dieci volte la scaletta si sa a memoria, rispondo glissando sull’allusione.

-E che cosa suonate?

-Non siamo inquadrati in un genere predefinito, però se proprio si deve dare una risposta, direi new wave.

-Io non mi stancherei mai di venire ai concerti, fanno sentire così vivi. I batteristi poi li trovo molto erotici. Devo riprendere, uffa, già le due meno dieci. Aiutami ad alzarmi, va’, visto che sei giovane e forzuto. 

Appoggia la sigaretta sul posacenere. Mi avvicino per sporgerle il braccio e nel sollevarsi mi rovina addosso, credo proprio intenzionalmente, aggrappandosi a me e facendomi percepire ogni curva e protuberanza per quattro interminabili secondi. 

-Scusa, ho perso l’equilibrio… colpa dei tacchi, maledetti. Mi distruggono i piedi a fine giornata. Ora riattacco con le telefonate. Comunque, sappi che hai una fan potenziale anche tra le over 30. E ti vorrebbe vedere all’opera. Tossisce ridacchiando. Tieni, il mio numero di casa. Tu Lorenzo io Lorenza, che ridere. 

E sparisce nel bagno a rifarsi il trucco.

-Comunque sono bassista, ribadisco, ma ormai ha già chiuso la porta e non mi avrà sentito.

In effetti il sabato successivo a questa profferta sarebbe in programma un nostro concerto, Teresa mi ha già detto che preferisce organizzarsi diversamente… Nei giorni successivi ho rigirato più volte nelle mani il biglietto con quel numero di telefono. Era scritto con grafia arrotondata e morbida, per analogia con quelle curve piovutemi addosso. A secco, sono a secco. Attraente, è attraente. Disponibile, su questo non c’è dubbio. Alla fine, per prendere una decisione, rigiro il foglietto e ci appunto cinque buoni motivi per resistere alla tentazione:

  1. ha quindici anni più di me;
  2. è una dipendente di mio padre;
  3. nessuno di noi due è libero;
  4. probabilmente sono uno dei tanti, quindi poca gloria;
  5. qualcuno potrebbe sorprenderci e parlarne con Teresa.

E io, soprattutto, non voglio far del male a Teresa. Appallottolo per bene il biglietto e lo cestino. Il plof che l’ammasso di carta produce, cadendo sul fondo, è come una sveglia. Lei che dice a me voglio te, ma vuole quello che non sa di sé; dai, vorresti che buttassi tutto quanto all’aria per te? Si, perché? Per un capriccio, lo sai che è così. Non si può! Non si può! Come no, non mi sfiora nemmeno. Me ne frego e vado a farmi una doccia bollente nel bagno privato di mio padre.

La seconda occasione è legata al concerto, lo stesso cui né Teresa né Lorenza sono venute a sentirmi. Il locale è particolarmente affollato e noi siamo decisamente in forma; suoniamo con un’intesa insolita, come se all’improvviso migliaia di session e centinaia di date nei pub di mezzo Lazio si fossero coagulate in un amalgama che si concretizza all’improvviso in un concerto acusticamente perfetto, dove tutto fila liscio, suonato benissimo dalla band e cantato splendidamente da Terence, il nostro frontman (Terence è un nome d’arte in onore di Trent D’Arby, in realtà si chiama Calogero ed è figlio di emigrati calabresi a Roma). Dal palco lo si percepisce quando il pubblico è completamente in tua balia, preso da te che stai suonando in virtù di un legame strettissimo, quasi erotico. E quel concerto è semplicemente perfetto, senza sbavature. Il pubblico continua a chiederci di uscire per suonare altri pezzi. Dopo tre bis, decidiamo che per quella sera abbiamo raggiunto il vertice delle nostre performance

Sto sorseggiando una Eku 28 mentre chiacchiero con Terence del concerto da poco concluso, quando mi sento toccare da dietro una spalla. 

-Devo farvi i complimenti, siete stati notevoli.

A parlarmi è una donna sui 25/30 anni. Indossa un giubbottino di pelle nera cortissimo sopra una maglietta bianca che fa risaltare un enorme crocifisso color ambra, ciondolante giusto in mezzo all’incavo dei seni; al polso tre bracciali vistosi bianchi rossi e blu, ma solo sul braccio sinistro; porta stivali anfibi, occhiali da sole modello Wayfarer alzati sulla fronte, anche se è l’una di notte passata. Sembra un incrocio tra Madonna e Cyndi Lauper: superato il primo impatto dell’abbigliamento, la si direbbe senza dubbio bella.

-Avevo già ascoltato la vostra demo, ma è la prima volta che vi sento dal vivo. Se vi serve un manager, io sponsorizzo già altri gruppi emergenti: Cooling System, Explorer Zone, Ocean Fingers… roba così, insomma. Ho dei ganci in RCA italiana, posso interessarmi a un provino in via Tiburtina. Ti occupi tu delle pubbliche relazioni, vero? Scusa, non mi sono ancora presentata. Mi chiamo Ilaria, Ilaria Rocci. 

Guardo Terence perplesso, stupito come quando si scopre di aver vinto al totocalcio con una schedina compilata mettendo 1X2 a caso, ma lui mi fa cenno di sì col capo.

-Ti lascio il mio numero; se mi chiami in settimana ne parliamo con calma e con meno casino intorno. Magari ceniamo insieme.

Sporge un biglietto da visita dove Ilaria Rocci è intitolata addirittura “discografico” e mi abbraccia energicamente, sfiorandomi appena il lobo con le labbra.

-Ci conto.

-D’accordo.

Terence-Calogero si congeda sorridendo: fammi sapere come va il provino… per il provino.

In realtà, dopo dieci giorni di mio silenzio, è lei a chiamarmi.

-Mi sono fatta dare il tuo numero dalla birreria dell’ultima volta. Perché non ti sei fatto sentire? Sei libero stasera? Ho riservato due posti alla trattoria Palestrina a via Cola di Rienzo. Ti ci devo trascinare? Passami a prendere alle otto, annotati l’indirizzo. 

Arrivo all’appuntamento puntuale. Ho avvisato Terence, prendi le tue precauzioni mi fa, scemo gli ho risposto. A Teresa ho detto una mezza verità, nel senso che le ho parlato di un appuntamento a cena con un discografico per un possibile provino in RCA; solo che il discografico è donna e ha cambiato look rispetto alla scorsa volta: ora indossa un elegante tailleur albicocca e scarpe alte. Si accomoda dicendo giri già con la Thema e non sei ancora famoso, chissà come correrai tra vent’anni.

Io non mi sono messo particolarmente in tiro, dunque sono un po’ in imbarazzo; lei è oggettivamente splendida e penso che dovrebbe evitare di scimmiottare le popstar nell’abbigliamento. Ilaria è una donna decisa, volitiva, sa quel che l’aspetta nella vita: le parvenze da manager le donano molto di più.

-Come mai questo cambio di vestiario? Al concerto non eri così.

-Che c’entra? Questa è un’occasione di lavoro, un incontro d’affari, mi vesto come quando sto in ufficio. Al concerto hai visto Ilaria come si sente di apparire nel tempo libero. Ti piace più questa, stai forse insinuando?

-Lavoro? replico io sorvolando sulla risposta, che è evidente da come la guardo.

-Si, lavoro, precisa lei, pensavi mica ad altro?

Sorride, accavalla le gambe e io metto in moto la Lancia.

Il cameriere che prende le ordinazioni ha un fare svogliato, che mi indispone e che stride con l’atmosfera tranquilla, quasi aristocratica, del locale. A metà settimana non ci sono molti clienti. Ordiniamo due menu degustazione da 39.000 lire bevande escluse, per fortuna ho pensato di portarmi dietro qualche soldo. Io apprezzo in particolare il tris di secondi al sugo, Ilaria si dice estasiata dai carciofi alla giudia. Di musica non parliamo, meno male che doveva essere una cena di lavoro penso; in compenso mi racconta di sé. Dopo il liceo classico qua a Roma, si è iscritta a Bologna, voleva fare il DAMS e laurearsi con Franco La Polla, la mia vera passione è il cinema, sai e ha discusso una tesi sull’importanza delle colonne sonore nel nuovo cinema americano. La tesi è piaciuta molto ed è arrivata, non si sa come, sul tavolo della casa discografica. Abbiamo giusto in programma una nuova collana di soundtrack storiche, avrebbe voglia di occuparsene?

Non diventerà regista, ma a soli 25 anni si ritrova con lo stipendio fisso, è economicamente indipendente al punto da permettersi un bilocale in affitto senza coinquilini alla periferia della città eterna, in barba alla crisi economica e a chi consiglia studiate le discipline tecnico-scientifiche che gli umanisti non valgono un cazzo sul mercato del lavoro. Quest’ultima osservazione, Ilaria la pronuncia particolarmente compiaciuta. 

-Ma quindi gli appoggi con Cooling system eccetera? Sono farlocchi? domando.

-Per nulla. Ogni tanto, quando qualche gruppo mi stimola, lo segnalo a Giorgio, il mio collega che è in contatto con i talent scout che gestiscono i provini. Io non vorrei occuparmi tutta la vita di colonne sonore dei film western e peplum: mi piacerebbe mettermi in proprio e fare l’agente musicale, dopo essermi creata un portfolio di gruppi. Tu suoni il basso elettrico in modo molto sensuale, cambia discorso improvvisamente. Alcuni bassisti suonano con il plettro. Roger Waters suona con il plettro, per esempio. Ma la maggioranza dei bassisti preferisce suonare con le dita. Tu suoni sia con le dita che con il plettro, a seconda del tipo di suono che vuoi ottenere. Mi fa immaginare che tu sia fantasioso e versatile anche in altri campi. 

Il cameriere porta il conto: 93.000 lire comprensive di vino, acqua, caffè e ammazzacaffè. Finisco di bere l’amaro e mi dirigo alla cassa. Pago con una banconota da 100 mila, prendo il resto mentre Ilaria si alza, si prepara e mi aspetta vicino all’uscita. Durante il viaggio verso casa sua mi descrive gli studi sulla Tiburtina e mi immagino lì dentro, con Terence e gli altri, nel primo passo verso la gloria. Papà mi vuole commercialista, è vero, ma se vedesse anche lui Ilaria in questo momento, converrebbe che è meglio il basso elettrico nella vita, rispetto alle distinte e ai mandati di pagamento. Le strade diventano sempre più rade e le case meno fitte, a un tratto sto percorrendo un viale piuttosto deserto e buio e Ilaria rompe il silenzio che è calato nel frattempo.

-Certo che se tu ora fermassi la macchina qui e mi volessi violentare, io non potrei gridare aiuto e nessuno mi verrebbe in soccorso.

Ci sono errori che non si devono commettere. Assist che vanno finalizzati. Si tratta di una richiesta, o meglio di una fantasia che è emersa dalla sua mente e si è verbalizzata a voce alta, ma io lì per lì non lo comprendo o forse non lo voglio comprendere; resto di stucco pensando che lei possa immaginarmi capace di tanto. Rispondo dunque nel modo sbagliato, un po’ seccato, continuando a guidare.

-Spero di non dover ricorrere a tanto.

-Portami a casa.

La conversazione si spegne su argomenti futili e secondari a quel punto, ma è solo quando arriviamo al portone di casa che un vago sentore di sconfitta mi si insinua nell’animo.

-Ascolta, Lorenzo, ti farei salire su volentieri, ma ho avuto una giornata molto pesante al lavoro e ho una tremenda emicrania. Domani mi devo alzare presto. Ti chiamo io tra qualche giorno, va bene? e intanto ha già aperto la portiera.

-D’accordo, replico un po’ inebetito. Si allontana senza voltarsi e intravedo il suo profilo sinuoso sfumare attraverso la vetrata del portone.

La chiamo in settimana due, tre volte, cambiando anche orari, ma non ottengo risposta. Finalmente dopo una decina di giorni riesco a parlarle.

-Sei sparita. Volevo chiederti se una sera di queste sei libera.

-Senti Lorenzo, io sono una persona piuttosto diretta, lo avrai capito. Non mi faccio molti problemi ad andare con chi mi piace. In questi mesi ho avuto diversi rapporti occasionali, credo nel libero amore. Però da un annetto mi stavo vedendo con qualcuno che diventava meno effimero, un ufficiale dell’esercito che è partito per la missione in Somalia tre mesi fa. Ho saputo la settimana scorsa che è stato gravemente ferito in uno scontro a fuoco, è appeso a un filo. Ci eravamo lasciati all’aeroporto con bei discorsi, con frasi allusive a un domani insieme… e mi ritrovo a pregare, io atea, che tutto vada bene. Sono sconvolta, non ho la testa in questo momento, mi spiace. Ti auguro il meglio per la band.

Riattacco senza riuscire a ribattere nulla. Mi sembra tutto troppo enorme per essere vero. Non l’ho mai più rivista.

La terza occasione arriva in ateneo. Rachele è figlia di architetti e ha frequentato lo stesso mio liceo, io ero nel corso B e lei nel corso A; abbiamo sostenuto la maturità con la medesima commissione. Si è iscritta pure lei a Economia aziendale e mi tiene sempre un posto a lezione, dal momento che arrivo costantemente in ritardo, specie dopo un concerto infrasettimanale. Teresa la detesta, dice che è una zoccola, una poco di buono. Non so da dove ricavi queste informazioni, ma a volte le ragazze hanno i loro canali confidenziali per accedere a dati che a noi uomini restano inaccessibili. Non si potrebbe dire che è fortunata, Rachele: ha un viso dai lineamenti irregolari e atipici, sostanzialmente quasi sgradevole. Se uno la vedesse di spalle, longilinea, con i capelli lunghi e biondi, le mise che lasciano sempre scoperte ampie porzioni del corpo, potrebbe ingannarsi e pensare che sia molto interessante. Però poi, quando si volta, palesa la sua somiglianza con Rossy de Palma, smontando -almeno in me- ogni appetito. Teresa mi fa delle scenate sapendo che mi siede sempre accanto, ma io non ce la faccio a sognare peripezie con un quadro di Picasso. Terence-Calogero, lui sì, lui le prenderebbe tutte. Afferma che il volto non è poi così importante se il resto è ben formato, esistono modi per ovviare all’inconveniente, non bisogna essere schizzinosi. 

Stiamo aspettando che inizi il corso e conversiamo del più e del meno, come spesso accade, e mi confessa:

-Sabato scorso ho indossato il reggicalze e sono andata al cinema col mio ragazzo a vedere Snack Bar Budapest. Noiosissimo, ma il dopocinema è stato più interessante.

-La colonna sonora di Zucchero merita?

Con un’uscita simile intendeva solleticarmi, dunque la replica è scandalizzata.

-Io ti dico che esco in reggicalze e tu pensi alla colonna sonora del film? Ma che uomo sei?

Così mi insulta, macheuomosei; per fortuna arriva il docente e la lezione ha inizio. Non ha desistito dal sondare la mia mascolinità, però. Dopo qualche giorno, mi sto dirigendo in Archivio di Stato: il professor Lantelmi d’Eraldo tiene un corso di Storia dell’economia e ha organizzato un seminario a piccoli gruppi per esaminare di persona i documenti della Computisteria generale della Camera apostolica. Io arrivo in Corso del Rinascimento in autobus; scendendo scorgo Rachele che è alla guida di una bicicletta, in minigonna cortissima. Monta giù, serra la catena antifurto assicurando la bici a un palo, mi saluta da lontano e entriamo insieme.

-Si vedeva qualcosa mentre pedalavo? Che avevano da guardare tutti, mi domando?

-Beh, in effetti… replico esitante.

-Non hanno mai visto un paio di cosce questi, siete tutti uguali voi uomini.

Arriviamo in uno studiolo dove ci attendono l’accademico e altri sette-otto studenti; su due tavolini accanto a degli scaffaletti sono già disposti una serie di fogli. 

-Trascrivete tutti i dati e tabulateli, ordina il cattedratico. Io vado a reperire qualche documento per un mio articolo. Torno tra un’oretta per vedere come sta andando.

Siccome lo spazio è angusto, Rachele non ha dove sedersi e in modo alquanto irrituale si è accomodata sullo scaffaletto alla destra del tavolo dove sono chino a consultare le carte. Una compagna mi detta i numeri e io li tabulo in un foglio di calcolo con il mio portatile. D’improvviso sollevo il capo dai fogli: il mio naso è all’altezza del confine tra il bordo della minigonna e la carne nuda. Lei si accorge del punto dove il mio sguardo non potrebbe evitare di cadere, assume un tono provocante e lentamente divarica le gambe non smettendo di fissarmi negli occhi. Non posso guardare altrove, posso solo tornare sui fogli. Sono impietrito. Certe donne ne sanno una più del diavolo.

È innegabile che simili episodi siano rari nella vita di un uomo. Non è che ha ragione Terence/Calogero, che devo farmi coraggio e sfruttare questa possibilità, a occhi chiusi? A questo punto Rachele si aspetta come minimo un approccio nel fumoir, un invito a seguirmi in bagno seduta stante. Invece non faccio nulla. La punta di eccitazione per quella scenetta si tramuta rapidamente in disgusto. Riprendo come nulla fosse a esaminare i dati statistici. Mi torna in mente la lezione di qualche giorno prima. Quand’è che gli Stati Uniti hanno abbandonato il sistema aureo? Gli Stati Uniti hanno terminato la propria adesione al gold standard nel 1973. Il presidente Ford, nell’agosto 1974, ha abrogato il divieto di possedere oro da parte del pubblico o di effettuare transazioni in oro. Oggi nessun paese vieta la proprietà privata dell’oro. Ecco, questo raffredda tutto, anche la minima tentazione che mi sia passata in testa. Nulla è più antierotico dell’economia. Terminato il seminario, saluto tutti e mi dirigo alla fermata del tram mentre Rachele rimonta in sella, abbandonandosi agli sguardi dei passanti irrevocabilmente convinta che io sia frocio.

Vorrei dirle che proprio perché sono uomo, ho bisogno di durare fatica, necessito di una difficoltà nella conquista. Se una mi si offre senza battaglia, perdo subito interesse. La band mi ha insegnato il valore del sudore e dello sforzo. Se vuoi la coesione perfetta sul palco, devi collezionare infinite steccate in garage. Ecco perché sono legato a Teresa: pur senza volerlo, mi sospende in attese che amplificano il desiderio; sono intimamente tiepido verso le sciacquette di qualunque età. Mi tentano, non lo nego, ma non mi insidiano davvero.

Penso che la vera conquista sarà quando Teresa mi cederà definitivamente, quando grazie a me avrà superato le paure e i freni che le derivano dal suo vissuto orribile. Rachele ha smesso di tenermi il posto. Cercherò di alzarmi presto per essere puntuale a lezione.

Anche il cantante dei Penta-moon mi disapproverebbe, lo so, mi direbbe che ogni lasciata è persa. Ma in fondo ho ancora una brillante carriera da bassista davanti a me.