Alter Ego Girl

Alter Ego Girl

Rebecca si sollevò dal letto e cominciò a rivestirsi, indossando le mutandine e il reggiseno che aveva appoggiato sulla spalliera. Il regista si era rannicchiato su se stesso, leggermente assopito, e non si accorse del ronzio della macchina da caffè che si diffuse nell’appartamento dopo che la ventiduenne ne premette il pulsante di accensione. Quando aveva trent’anni non voleva sentir parlare di periodo refrattario: tornava subito alla carica. Adesso si addormentava tristemente dopo ogni amplesso, nemmeno troppo soddisfatto. Eppure Rebecca, padre italiano e madre tedesca, dell’attrice possedeva non soltanto le doti artistiche ma, decisamente, anche quelle estetiche. Lei era più giovane di quarantadue anni. Si erano conosciuti nella primavera precedente, sul set dell’ultimo film del regista, Motociclisti contro streghe sulla rotta delle stelle. Era infatti specializzato in produzioni weird-pulp, un genere divenuto ormai un po’ di nicchia dopo gli splendori dei decenni passati, pertanto il lavoro andava scemando perché i produttori, naturalmente, non erano disposti a investire su pellicole in perdita; per fortuna aveva accumulato di che vivere con tranquillità e senza l’assillo del fine mese. Il film raccontava la storia di due bande di motociclisti, la prima composta solo da uomini la seconda tutta al femminile, che organizzavano corse clandestine notturne sul GRA, collegate a un giro di scommesse illegali. Rebecca interpretava il ruolo della leader della banda di ragazze, una universitaria di ottima famiglia che fuggiva temporaneamente dalla noia del bon ton e impiegava il ricavato per comprarsi le borse di Gucci, assolutamente indispensabili per essere accolta con favore nel jet set.

Motociclisti era risultato in passivo nonostante fosse una produzione low budget. Anche i diritti televisivi erano andati deserti. Rebecca era passata inosservata nella sua interpretazione a discapito delle scene da paddock girl che ne esaltavano le forme; provava a emergere definitivamente, ma senza riuscirci e a 22 anni nel mondo dello spettacolo si può affermare che tu sia già un po’ in ritardo. Alternava il cinema con servizi da modella per le catene di intimo, comparsate su tv locali e dj-set nelle discoteche di tutto il centro-sud Italia e poi c’era la storia con il regista, quella poteva rappresentare un trampolino. In fondo era stato famoso e conosceva qualche senatore di Fratelli d’Italia, anche se poi lui era di destra per modo di dire, anzi per convenienza: col cazzo che ti produceva la Medusa, se non votavi nel modo giusto. Era in pace con la propria coscienza circa quella relazione, sebbene fosse preoccupata per la carriera stagnante; del resto oggi le modelle fanno le deejay, la bella gente, la pista, le luci. E le ventenni vanno a letto con i vecchi per pagarsi una borsa di Gucci (si era immedesimata con la protagonista del film). Tirava una brutta aria e lo scivolamento nell’industria porno si avvicinava come inevitabile ripiego; qualche agente l’aveva già contattata al riguardo per sondare il terreno, ma al momento lei rifiutava decisamente simili proposte. Non era una questione moralistica, aveva ricevuto un’educazione luterana, del resto era convinta che un’attrice non dovesse avere tabù circa l’impiego del proprio corpo e anzi concordava con Valentina Nappi, che durante un’intervista aveva testualmente dichiarato:

Non mi piace il femminismo: storicamente hanno sempre prevalso le correnti antisesso e fin dai primi del Novecento le femministe si sono alleate col mondo cattolico.

Solo, quella rappresentava una scelta irreversibile, una volta fatta. Preferiva aspettare il giorno in cui il mondo del cinema vero si sarebbe accorto di lei. In fondo solo una settimana prima un ammiratore incontrato al ristorante le aveva chiesto un selfie, ti ho vista il mese scorso nella vip lounge del Yellow Fever, ripeteva entusiasta mentre allungava lo stick per il cellulare. Però lui doveva svegliarsi nel darle una spinta.

Rebecca esaminò le varie cialde disponibili: robusta, decaffeinato, 100% arabica, aromatizzato alla vaniglia, alla cannella, classico (cosa mai vorrà dire classico per un caffé, poi? Classico è Omero, se mai) e ginseng. Optò per l’arabica. Fece scorrere il liquido marrone per un po’, perché il caffè le piaceva lungo, quindi preparò il decaffeinato per il regista, da servire senza zucchero per via del diabete. Raccolse anche il pacchetto sulla scrivania della stanza accanto, che giaceva lì da tre giorni senza che il regista lo considerasse; collocò tutto su un vassoio e si diresse verso il letto.

-Ti ho preparato il deca che ti piace tanto e poi c’è questo -indicò il plico- perché non lo guardi?

-So già che contiene una seccatura. L’ho già aperto ieri e poi l’ho richiuso dopo averlo esaminato.

Il regista scartò svogliatamente il pacco: come anticipato via mail dal mittente, conteneva una chiavetta usb da 64 Gb, sulla quale era salvato in formato mp4 il cortometraggio Alter Ego Girl (durata 27 minuti) del giovane cineasta Ruggero Torrazza. L’avvento della Black Magic Pocket Cinema Camera era stato meraviglioso e nefasto: con meno di duemila euro ci si poteva ormai permettere una qualità di ripresa holliwoodiana e il risultato era che lui, come molti altri colleghi, veniva sommerso di proposte cinematografiche. Torrazza aveva scritto pieno di speranza, sette giorni prima:

From: "R. Torrazza | Spectra P. I." <rtorrazza@spectraproind.it>
Organization: Spectra Produzioni Indipendenti
To: blueprod.segreteria@gmail.com
Subject: Alter Ego Girl
Date: Wed, 4 Dec 2019 15:15:15 +0200

Illustrissimo,

ho terminato il montaggio del mio “Alter Ego Girl” e mi farebbe piacere – se lei lo ritiene utile e possibile – una Sua recensione sulla webzine CortoMagia, nella rubrica da Lei curata. Inoltre quando l’estate prossima si aprirà la call per il RIFF – Rome independent film festival, gradirei sottoporlo all’attenzione della Giuria, della quale suppongo che Lei farà parte.

Le spedirò per posta ordinaria il materiale, se è così gentile da fornirmi un recapito.

La ringrazio per l’attenzione e le rinnovo la mia stima.

Cordiali saluti

Ruggero Torrazza

From: "Segreteria Blue P." <blueprod.segreteria@gmail.com>
Organization: Blue Productions
To:  rtorrazza@spectraproind.it
Subject: Re: Alter Ego Girl
Date: Wed, 5 Nov 2019 16:44:44 +0200

Gentile sig. Torrazza,

può inviare il tutto all’indirizzo: Blue Productions – Largo Benedetto Marcello 198 – 00198 Roma e faremo recapitare il materiale personalmente al regista.

Distinti saluti,

Rosanna Bennato

BP Productions

Torrazza aveva 41 anni e, come Rebecca, era un po’ in ritardo sulla strada dell’affermazione artistica. Se pensiamo che gente come Coscarelli a 19 anni dirigeva già lungometraggi, il fatto che lui fosse ancora fermo ai corti, oltrepassati gli anta, non deponeva a suo favore. Si riteneva vittima di un sistema nel quale la sinistra era egemone: lui era sempre stato vicino, culturalmente e politicamente, agli ambienti della destra sociale capitolina, come testimoniavano da ultimo i docufilm con i quali aveva seguito da vicino le tournée di gruppi come i Legittima Offesa o gli Zetazeroalfa, per ripristinare la verità di sguardo dopo quell’autentica opera di demonizzazione rappresentata da Nazirock di Claudio Lazzaro (2008). Ma quale eversione: era soltanto una precisa scelta commerciale e di cifra stilistica. Non voleva finire relegato in un angolino del mercato, però: aveva ambizioni sulla nascita di una nouvelle vague di horror nazionalpopolare. Sì, era possibile rinverdire i fasti di Dario Argento, se solo quei comunisti lo avessero lasciato esprimersi liberamente. Il regista poteva aiutarlo anche se un po’ declinante, di certo una selezione al Riff sarebbe stata un bel biglietto da visita.

-Di cosa si tratta, insistette Rebecca?

-Un certo Torrazza è convinto di aver girato un piccolo capolavoro horror e insiste perché io scriva un articolo per recensirlo e soprattutto perché io ne caldeggi la selezione a un festival cinematografico.

-Di cosa parla il film?

-Cortometraggio. Una ragazza soffre di un disturbo di scissione della personalità e va in giro per i treni a sedurre ignari sconosciuti; quando li ha fatti ringalluzzire, li trascina nella toilette e li trucida disumanamente, il modo te lo lascio immaginare, scendendo alla fermata successiva. Solo che al mattino quando si sveglia ha rimosso ogni cosa, anzi se legge sui giornali dei massacri si indigna con il serial killer e lo insulta sul web, con una predilezione per Facebook e le pagine social di Repubblica. Le forze dell’ordine la cercano per settimane finché un ispettore di polizia, che fa da esca su un Intercity, riesce a catturarla ma poi, pensando che tanto si farà passare per seminferma di mente e quindi se la caverà con poco, decide di aprire lo sportello del convoglio in corsa mentre sopraggiunge un treno in direzione opposta. La pazza è fuggita, morta durante un inseguimento e stop.

-Orribile.

-Una boiata senza senso. Manca un’analisi delle turbe del personaggio, d’accordo che è un corto, ma l’horror non è splatter, un minimo di contesto lo devi mettere. Lui è convinto di aver denunciato la frustrazione che spinge i tutori della legge a farsi giustizia da soli, lo scandalo dell’impunità garantita a molti delinquenti che si fanno passare per scemi. Ora minaccia il prequel, per rafforzare il concetto.

-E tu?

-E io in fondo chi sono per demolirlo? L’espressione non si può negare a nessuno, i sogni nemmeno. Mi sembra scortese dirgli tutta la verità, lui mi apprezza e non intendo deluderlo. Non esplicitamente, almeno. Proverò a essere elusivo e a rimandare, per il momento ho scritto due righe spiegando che non mi sembra malvagio, ma che mi riservo una disamina più accurata quando avrò tempo e che sarà mia premura avvisarlo se uscirà una recensione. Si stuferà e passerà ad altri.

Il giorno dopo il regista si diresse a lezione, dal momento che teneva un corso di Storia e critica del cinema all’Università Popolare di Roma. Come tema aveva scelto il cinema di Russ Meyer, che secondo lui rappresentava una delle vette raggiunte dalla settima arte, specialmente nella sua seconda fase, quella popolare e cartoonistica. Il suo Motorpsycho! aveva ispirato la pellicola nella quale Rebecca aveva avuto una parte e adesso stava programmando un remake di Supervixens, incontrando due problemi: tutti i produttori da lui interpellati erano parecchio scettici sulle prospettive commerciali del progetto e inoltre il casting avrebbe probabilmente faticato nel reperimento delle supermaggiorate richieste dalla produzione. Rebecca si era dichiarata già disponibile per il ruolo di SuperLorna – la somiglianza con Christy Hartburg era impressionante, del resto – ma il clima buonista e politicamente corretto ormai egemone, le aveva confidato il regista, non lasciava presagire nulla di positivo. Non eravamo più negli anni settanta, gli avevano spiegato, un film del genere nel 2020 avrebbe attirato critiche da ogni parte. Sarebbe stato boicottato. Certo, poteva sempre autoprodurselo con la BP, ma ciò avrebbe implicato rischiare tutti i risparmi, senza possibilità di replica in caso di fallimento. Rebecca smaniava, anzi scalpitava, gli contestava che non facesse abbastanza per promuoversi e per promuoverla, a volte lo accusava apertamente di non rispettare le promesse fatte all’inizio della relazione e questo stava incrinando il loro rapporto.

Entrò in aula, dove lo attendevano già una quindicina di persone. Come suo stile, lasciava parlare le immagini: invece che proporre lunghe spiegazioni di storia del cinema senza proiettare nulla, si guardava prima di tutto la pellicola o alcune scene salienti e poi si commentava. Quel pomeriggio vennero proiettati in sequenza spezzoni di Lungo la valle delle bambole, Supervixens appunto e Beneath the Valley of the Ultra-Vixens.

-Come avete visto, esordì nella sua spiegazione il regista al termine, lo stile di Russ Meyer si può definire cartoonistico per la scelta dei colori, per il montaggio serrato e i particolari angoli di ripresa. Il suo montaggio fulmineo e fatto di inquadrature velocissime, a volte subliminali, ha anticipato di un ventennio quello dei videoclip e di MTV. L’altro elemento ricorrente è la scelta di attrici maggiorate. A partire dagli anni settanta Meyer ha sempre inserito nei suoi film un personaggio che interpreta un poliziotto violento e immorale. Inoltre, sempre a partire da tale periodo, in ogni film troviamo un personaggio chiamato Martin Bormann come il criminale di guerra nazista sfuggito al processo di Norimberga. Avete domande, osservazioni, commenti?

Un’ultracinquantenne magrissima, con spesse lenti e un aspetto da maestrina sollevò la mano per chiedere la parola.

-Devo ammettere che sono francamente perplessa. Esattamente come accade per altri registi, per esempio Tarantino, mi pare che la critica intenda scovare significati pseudo-artistici nelle scelte stilistiche… ma i contenuti? I contenuti sono importanti e questi sono moralmente inaccettabili. Secondo il mio parere, naturalmente.

-I contenuti sono importanti, ha ragione, ma bisogna evitare di giudicarli eticamente. Anche perché l’etica è soggettiva. Dove lei riscontra cattivo gusto e mercificazione della donna, immagino, qualcun altro può scorgere un invito alla liberazione dei costumi. Vede, questo è un corso di Storia e critica del cinema. A noi interessa comprendere come l’artista descrive il mondo e quali tecniche impiega per esprimere il suo messaggio. Non necessariamente condividiamo le sue idee, ma possiamo apprezzare (o deprecare) il modo in cui le espone. Parafrasando Wilde, potremmo affermare che i film o sono girati bene o sono girati male. Una copia di Supervixens fu richiesta da Hitchcock per una proiezione privata alla Universal Pictures. John Waters ha definito un altro film di Meyer, Faster, Pussycat! Kill! Kill! il miglior film della storia del cinema. E si tratta di una pellicola di culto, adorata dalle femministe. Quindi dove sta la verità? Non si può dire. La grandezza dell’arte è proprio nella sua soggettività, nel suo rifiuto di aderire a categorie di generalizzazione e semplificazione. L’assoluto si può lasciare alla politica e alla sua propaganda, che sono convinte di possedere la Verità.

La maestrina prese due o tre appunti su un bloc notes dalla copertina a fiorellini sulla quale aveva attaccato un adesivo con su scritto No Meat, I’m Vegan; borbottò qualche frase tra sé e sé, poi si alzò dal posto con leggero disappunto e abbandonò l’aula, grazie, è stato interessante come al solito, ora inizia il corso di PNL base, buona serata, alla settimana prossima.

Fu come un libera tutti, perché in effetti la lezione era terminata e le persone uscirono per dirigersi chi verso casa chi verso altre aule. Il regista spense il proiettore, sistemò la sua borsa con gli appunti per la lezione e chiuse a chiave la stanza. Nel corridoio si accorse che lo attendeva Torrazza.

-Buongiorno. Mi scusi se mi sono permesso di aspettarla qua, ma ho inviato due mail di sollecito senza risposta. Volevo sapere se ha avuto modo di esaminare con più calma il mio video e quando prevedeva di scrivere la recensione.

Cercò di mascherare l’inquietudine che quell’appostamento generava, si ricompose come poté dall’imbarazzo e provò a guadagnare del tempo.

-Guardi, è un periodo molto intenso. Sto girando diverse case di produzione per proporre un nuovo progetto, rivedendo la sceneggiatura e poi ci sono le lezioni qui. Porti ancora un po’ di pazienza.

-Ma una recensione a distanza di troppo tempo è del tutto inutile. Non ci mette tanto, provi a ricavarsi del tempo. Come le pare il corto?

-Sì… non malvagio… una miscela di erotismo, horror con qualche virata verso lo splatter… forse la prospettiva di denuncia politica che è contenuta nel finale si poteva esplicitare meglio… magari un excursus sul vissuto giovanile della protagonista sarebbe servito… nel complesso ci sono spunti su cui riflettere.

-Sono orgoglioso del suo incoraggiamento. Lei è il massimo esperto del genere in Italia. La settimana prossima la ricontatto in produzione, così mi aggiorna sulla recensione, d’accordo?

-Ecco, devo verificare gli impegni, magari passi prima in segreteria per avere conferma della mia presenza a Roma.

Si congedarono sulla scalinata. Torrazza indossò il casco e montò sul motorino che era parcheggiato di fronte; il regista si diresse alla fermata della metropolitana. L’attesa fu di sei-sette minuti.

Il vagone era piuttosto affollato, le ragazzine diffondevano musica dal cellulare a volume alto, senza preoccuparsi delle persone sedute a fianco. Un uomo d’affari in giacca e cravatta provava a leggere il suo quotidiano, ma il rumore della musica lo disturbava; lanciava sguardi cattivi alle quindicenni accanto, che lo ignoravano e ridevano senza ascoltare veramente il brano. Una congrega di suore sudamericane confabulava a bassa voce, cercando di intuire quale fosse la fermata migliore per andare in San Pietro. Il regista non era tranquillo: Torrazza fingeva di non capire che la recensione non sarebbe arrivata e la raccomandazione nemmeno o forse, peggio ancora, era talmente convinto della propria bravura al punto da non contemplare ipotesi diverse. Estrasse dalla tasca il proprio smartphone e compose il numero della segreteria, pronto Rosanna, tutto a posto grazie, senta mi deve fare un favore, se telefona un certo Torrazza o viene a cercarmi di persona, gli dica che sono fuori Roma per un po’, dove vado? No, non vado via, è solo per evitarlo, comunque dica che sono partito… per Berlino, ecco… e che ci starò per almeno un mesetto, grazie. Riattaccò e chiamò l’Università Popolare. Pronto, Tamara, tutto a posto grazie, no non ho scordato niente nell’aula, senta mi faccia una gentilezza se possibile, comunichi a tutti i miei studenti che per motivi personali il corso è sospeso per tre settimane, dica pure che le lezioni non andranno perse ma saranno recuperate a fine semestre, no no tranquilla nessun problema, devo solo staccare e concentrarmi su un progetto per qualche giorno, grazie.

Sperava che alla fine il seccatore si sarebbe arreso e si sarebbe rivolto ad altri sponsor; ma dopo quattro giorni lo cercò Rosanna sul cellulare.

-Buongiorno, senta, ha chiamato quel…

-Torrazza?

-Ecco, lui. Ha chiesto di lei, ha parlato di un articolo, voleva sapere a che punto fosse. Io ho fatto come mi ha detto, ho comunicato che al momento era in Germania. Mi ha preso a male parole, anzi mi ha proprio dato della puttana e ha minacciato di venire a controllare di persona perché lui non tollerava di essere preso per il culo. Ha chiuso dicendo che o questa recensione saltava fuori nel giro di una settimana o altrimenti…

-Altrimenti cosa?

-Altrimenti niente. Ha riattaccato senza dire altro. Io non ci sto a essere trattata in questo modo a sessantadue anni, dottore, se si ripeterà l’episodio mi rivolgerò ai carabinieri, capito? Deve trovare il modo di calmarlo.

Aveva anche ragione, in fondo, la segretaria; forse non avrebbe dovuto coinvolgerla in quel pasticcio. Torrazza si stava innervosendo e incattivendo, com’era tipico dei mediocri che ritengono di essere incompresi. Glielo diceva pure sua figlia, che insegnava inglese in un comprensivo di Anzio: i genitori contestavano ogni voto, ogni scelta didattica; la scuola era piena di Einstein che i professori non valorizzavano e più padre e madre erano ignoranti, più volevano dire la loro. Sfogliò il giornale nel tentativo di raccogliere le idee, per escogitare una via di uscita che soddisfasse tutti. Rebecca gli diceva ma scrivila ‘sta recensione, cosa ti costa in fondo, lo fai contento e la smette di rompere; ma il fatto è che le firme sono importanti, se ci metti il tuo nome gli altri non pensano che tu abbia semplicemente svolto un esercizio di accomodamento, o esercitato la cortesia. Nel settore avrebbero pensato inizialmente che Alter Ego Girl valesse davvero qualcosa, salvo poi realizzare, dopo averla visionata, che si trattava di un’opera del tutto risibile. E a quel punto la recensione, la firma, gli si sarebbe girata contro. La schifezza della pellicola si sarebbe estesa a chi ne aveva redatto quell’elogio poco opportuno. Già era ormai precario, nel giro; se avesse avallato una tale porcheria avrebbero pensato che si era bevuto il cervello, sarebbe stato il segnale definitivo del declino.

Rebecca si congedò dall’ufficio del produttore televisivo De Andreis, il quale possedeva una tv locale o meglio già regionale, nel senso che trasmetteva in tutto il centro-sud Italia e ambiva a divenire network nazionale nel giro di un biennio o al massimo di un lustro. Aveva scorto un casting sul sito dell’emittente, segnalatole da un agente: a Rete Diamond erano in cerca di una valletta per A Tutto Tondo, il loro maggior totalizzatore di audience. Era un programma calcistico che seguiva un format già collaudato altrove: un giornalista conduttore che non ce l’aveva fatta a farsi assumere dal Corriere dello Sport-Stadio, tre o quattro opinionisti che litigavano e si urlavano addosso in diretta nel post partita e poi la presenza femminile, immancabile, che doveva essere procace e succintamente abbigliata. La valletta precedente aveva spiccato il volo verso Milano e di lì a breve avrebbe ricoperto un ruolo da velina chez Antonio Ricci, a Striscia, quindi toccava sostituirla. De Andreis precisò che non era importante saperne di calcio, anzi era utile esserne quasi a digiuno; fondamentale era l’avvenenza, perché il ruolo della “giornalista” in simili programmi era quello di acchiappare lo spettatore durante lo zapping. Sa com’è fatto lo spettatore maschio medio da noi, no? Uno sta scanalando, si imbatte in cosce lunghe un chilometro e in una scollatura da capogiro, così si ferma su quel canale e non guarda altro. Gli inserzionisti sono contenti. Lei aveva delle riserve in tal senso? Si figuri, aveva risposto Rebecca, sono donna di spettacolo. Ottimo, aveva replicato De Andreis, si tenga pronta e non si allontani da Roma perché dobbiamo andare in onda dopo la pausa invernale del campionato e siamo indecisi tra lei e Noemi Delbono, tanto per essere trasparenti. Ma personalmente le confesso che preferirei lei, se non altro perché ha fatto anche un po’ di cinema. Poi, naturalmente, dipende anche dalle sue richieste economiche. Ci aggiorniamo tra una settimana.

Il colloquio l’aveva messa dell’umore giusto: si apriva una finestra e senza dire grazie a nessuno. Al di fuori degli studi si scattò un selfie, da postare sul suo profilo Instagram, nel quale l’inquadratura partiva dal tacco a spillo per poi risalire lungo la gamba e fermarsi giusto sul logo dell’emittente, all’altezza dell’anca. Per lo scatto aveva armeggiato un po’ con la scalinata per trovare il punto giusto in cui poggiare in equilibrio il telefono, poi un magazziniere di Rete Diamond, passando e vedendola in difficoltà, aveva prestato soccorso. Si era sdraiato per terra per inquadrare ed ecco il post. Non era più un selfie, a rigore, ma tanto nessuno se ne sarebbe accorto. Nella didascalia aveva lasciato intendere sviluppi positivi ai propri follower:

#CoseBelleInArrivo @ATuttoTondoOfficial #StayTuned

Arrivò al portoncino di casa che già era buio e si vedeva molto poco; non trovò immediatamente le chiavi e smadonnò contro l’amministratore, che si ostinava a non installare una tastiera apriporta sul videocitofono. Attivò la torcia dello smartphone. Finalmente le mani tastarono il mazzo e con uno scatto rapido del polso Rebecca aprì la serratura e si lasciò scivolare nell’androne. Non vedeva l’ora di togliersi le scarpe. Si diresse a passi rapidi verso l’ascensore, perché quel corridoio lungo e stretto incuteva un po’ di ansia nonostante fosse ben illuminato -almeno quello- e mentre stava per premere il pulsante di chiamata si sentì afferrare il collo da dietro e in un secondo fu scaraventata contro il muro. Torrazza premeva il proprio corpo contro il suo, dopo averle messo una mano sulla gola e serrandole il fianco sinistro con l’altra.

-Non urlare perché sono già abbastanza incazzato. Dov’è? In casa non c’è, non risponde. Dov’è finito? Gioca a fare il prezioso, il difficile, lui… prima promette di scrivere due righe e poi non si fa trovare.

Il cineasta pressò Rebecca contro il muro con maggiore energia. La ragazza ora iniziava a sentire il calore del fiato e cominciava a dolerle la stretta serratissima della mano sull’anca; con disgusto percepì l’inizio della sua eccitazione attraverso i pantaloni, che diventava sempre più evidente.

-Possibile che tu non sappia dove si trovi? Se questa recensione non arriva entro tre giorni lo rovino, ma prima sistemo te. Adesso mi devi dire: ti prego, spogliami.

Estrasse un coltellino svizzero e lo puntò alla gola della ragazza, per il momento senza premere.

-Guarda che non scherzo, mi vedi? Sono molto nervoso. Coraggio, dì: ti prego, spogliami.

Rebecca era pietrificata dal terrore, a stento riusciva a respirare. Torrazza insistette e il tono si fece minaccioso, perentorio, inequivocabile: avanti, ti prego, spo-glia-mi.

-Spo… Spo… glia… mi.

Ti prego. Devi dire anche ti prego.

Rebecca raccolse il fiato per pronunciare tutto d’un colpo la frase, che alla fine risuonò nell’aria così veloce che quasi le sembrò di non averla detta davvero: tipregospogliami. Chiuse gli occhi rassegnata al peggio.

-Mi spiace, ma puzzi ancora di vecchio. Magari un’altra volta. Se ti sarai lavata per bene. Ora mi fai abbastanza schifo.

Torrazza sogghignò con espressione soddisfatta. Pensò che avrebbe potuto ricavarne una grandiosa scena di film, lavorandoci. Girò i tacchi e se ne andò tranquillamente percorrendo il corridoio, richiudendo con calma il portoncino. Rebecca si lasciò scivolare a terra lungo il muro, lentamente e infine pianse, scompostamente e senza più alcun pudore. Tremava tutta e dovette produrre uno sforzo enorme per rialzarsi dopo qualche minuto, ma riuscì a chiamare l’ascensore e a dirigersi verso l’appartamento del regista.

Stava sorseggiando un bicchiere di Zacapa 23 (costo medio 45 euro a bottiglia), ipotizzando il motivo per il quale il direttore dell’Università Popolare lo avesse invitato nel suo studio l’indomani mattina, alle 10.30. Appena scorse Rebecca all’ingresso capì che era sconvolta e si precipitò ad abbracciarla. Lei lo respinse con decisione, gettando la borsa sul divano.

-Che è successo? Sei distrutta.

-Quel pazzo del tuo amico cineasta mi ha aspettato nell’androne e mi ha quasi violentata. Mi ha puntato un coltello alla gola. Perché non gli hai aperto? Voleva la recensione. Voleva sapere dove tu fossi finito. E tu eri qua a berti un rum in santa pace!

-Mi spiace, Rebecca, ma come potevo immaginare che…

-Ti spiace? Sai solo dire che ti spiace? Sei uno stronzo! Quello a momenti mi stupra dentro casa tua perché tu non accendi un cazzo di pc e non scrivi una cazzo di recensione! Ti spiace? La verità è che sei un vigliacco mezzo fallito. Non ti voglio più vedere. Finita la storia. E qui non sono più tranquilla. Domattina faccio i bagagli e chiederò a mio fratello di ospitarmi a Civitavecchia per qualche tempo, poi vedrò come sistemarmi.

L’indomani Rebecca si alzò alle 7.20, sistemò tutti i suoi effetti personali in due valigie, almeno quelli più importanti; chiamò un taxi e si fece accompagnare in stazione. Non scambiarono parola. Il regista non provò nemmeno a trattenerla: era preoccupato per la piega che stava prendendo la faccenda e quella separazione, al momento, era forse la cosa più giusta da fare. Si preparò per l’appuntamento con il direttore dell’Università Popolare, che lo inquietava quasi come l’accaduto della sera prima.

La segretaria lo annunciò al direttore e lo invitò ad attendere qualche istante sul divanetto color pesca sciroppata. Ai muri erano appesi i manifesti che riproducevano tutte le campagne di iscrizione dell’Università Popolare da quanto era stata fondata. L’attesa fu breve. Il direttore è libero, si accomodi, dichiarò con compunzione la donna, quasi sapesse l’argomento della conversazione che lo aspettava. Sulla scrivania del direttore campeggiava una foto delle sue tre figlie, con lui al centro.

-Prego, si segga. Senta, lei mi conosce… sa che non amo le perifrasi, quindi sarò franco e diretto. Ho ricevuto lamentele sull’argomento delle sue lezioni.

-Scusi? Fece il regista incredulo.

-Più di una. Mi ha spedito una mail una sua allieva e poi, stranamente, qualche giorno fa ho ricevuto anche una segnalazione anonima in vecchio stile, sa quelle fatte con le lettere ricavate dai ritagli di giornale incollati sul foglio? Ecco, quelle. Avete affidato il corso a un vecchio porco. Così c’era scritto. Guardi, il mio non è moralismo. Però noi siamo una realtà diversa dagli atenei ordinari, noi campiamo con le iscrizioni ai corsi e se i corsi non vengono apprezzati, i numeri calano e non possiamo più attivarli l’anno dopo, mi intende? Mi è giunta voce che a lezione si proiettano spezzoni di film di un regista noto per la sua esaltazione del sesso e della violenza… e non mi parli di arte, per favore. Solo indecenze e schifezze. Che hanno scandalizzato i suoi studenti, magari non tutti, ma uno è già abbastanza. Mi faccia una cortesia: si prenda una pausa di riflessione, anzi ce la prendiamo entrambi. Non ci possiamo permettere mal di pancia. E magari nel prossimo semestre il corso lo teniamo sul cinema di Moccia, o di Muccino… roba innocua insomma e buona per tutte le bocche.

-D’accordo. Ci penserò.

-Bene, mi fa piacere che lei sia ragionevole. Depone a suo favore. Ora, se mi vuole scusare…

Per una settimana il regista restò chiuso in casa, catalettico. Non c’era più Rebecca, non c’era più il lavoro, la vita si sfaldava tra le dita. La bottiglia di rum venne aggredita sempre più spesso. Accese il televisore, almeno il campionato di calcio era ripreso, dopo la pausa invernale. Zigzagò tra i canali con un movimento nervoso delle dita sul telecomando, finché strabuzzò gli occhi: c’era Rebecca in studio, su Rete Diamond, seduta su uno sgabello alto che ne esaltava tutto il fisico, vestita con un miniabito blu elettrico e scarpe in tinta.

E adesso passiamo a leggere i risultati dell’odierna giornata di serie B. A Chiavari, Benevento batte Virtus Entella 3-1…

Il regista non cambiò canale, si limitò a premere il tasto mute e restò sintonizzato su A Tutto Tondo; accese il pc inutilizzato da due mesi, digitò la password di accesso. Rebecca era uno splendore, se lo meritava tutto il successo; aprì il programma di videoscrittura e iniziò a digitare:

Capita raramente di imbattersi in sguardi terrificanti e al contempo terribilmente lucidi sul reale, ma Ruggero Torrazza col suo Alter Ego Girl è riuscito nell’impresa.