Il professore getta i libri dalla finestra

Prima di non vederci più

Il professore stava pranzando davanti al terminale, come sempre quando era al lavoro, e intanto leggeva le notizie online. Aveva riscaldato nel forno a microonde una zuppa di cereali con pollo; un chicco d’orzo si era impigliato fastidiosamente tra i denti, lo rimosse. A Roma alcuni ambientalisti radicali, giovani attivisti di SOS Clima Farsa, avevano piazzato 10 chilogrammi di TATP, il perossido di acetone, nella Fontana di Trevi, distruggendola completamente. Questo gruppo era stato fondato da alcuni fuoriusciti da Ultima generazione, considerata troppo moderata con le sue azioni puramente simboliche e dimostrative. Il nome alludeva a quella che era percepita come la farsa dei comportamenti attuati dai governi mondiali, che dietro un paravento ecologista perseveravano coi loro bla bla bla, con lo sfruttamento dissennato delle risorse. I “farsisti”, così erano stati ribattezzati dai media, specialmente da quelli conservatori, ritenevano che occorresse intraprendere iniziative più forti, al limite persino violente, per scuotere le coscienze. Non bastava più essere solo ecologisti, era giunto il tempo di dichiararsi francamente anticapitalisti e contro ogni forma di sviluppo: la scelta pauperista era l’unica che poteva coniugare uguaglianza sociale e lotta al cambiamento climatico. Sul loro sito si potevano leggere proclami di questo tenore:

CompagnƏ della rivoluzione climatica, uniamoci sotto lo striscione di SOS Clima Farsa! Insieme possiamo abbattere il mostro del capitalismo, sputare sullo sviluppo industriale e abbracciare un futuro fatto di tuniche di canapa e candele di cera d’api! Alziamo i nostri bicchieri di latte d’avena in segno di ribellione contro lo sfruttamento animale e sfidiamo il sistema. L’emergenza climatica è solo il pretesto per rovesciare le tazze da tè di porcellana della borghesia! Avanti, compagnƏ, verso un mondo senza falso progresso e con molta più compost-ezza!

Sembravano nostalgici degli anni ‘70 fuori tempo massimo, invece erano per lo più studenti fuori corso delle facoltà umanistiche. Avevano messo in rete anche le istruzioni per produrre in modo artigianale il TATP. Bastava mescolare acqua ossigenata con un acido che poteva essere solforico, cloridrico o nitrico in determinate proporzioni. Gli ingredienti erano comunemente acquistabili senza troppe difficoltà; dopo averli mescolati si otteneva una polvere di cristalli bianchi, che sembrava zucchero, la quale collegata a un detonatore realizzava una bomba in grado di emanare gas ustionanti. Occorreva prestare attenzione nel momento in cui si aggiungeva l’acido alla miscela di acqua ossigenata e acetone, ma con un po’ di esperienza e una ffp3 si poteva restare sufficientemente protetti dai gas tossici che ne scaturivano. Costruire il detonatore era altrettanto semplice: un tubo metallico riempito di stucco e legato a due fili elettrici che, messi in contatto, provocavano una scintilla.

Sulle fondamenta della Fontana di Trevi avevano gettato un quintale di materiale compostabile e poi avevano issato lo striscione Meno arte ai ricchi e più terra ai poveri prima che intervenisse la polizia con i manganelli. I partecipanti erano stati identificati e portati in Questura con le cattive maniere. La Stampa e La Repubblica condannavano aspramente le violenze delle forze dell’ordine. Roberto Saviano aveva scritto un’invettiva contro il nuovo regime incipiente, che reprimeva nel sangue le istanze giovanili di cambiamento. Chiara Valerio e Teresa Ciabatti, sui loro profili social, si erano prontamente congratulate con lui per il suo coraggio nella denuncia.

A Napoli, più modestamente, si era svolto nelle stesse ore uno sciopero della fame per protestare contro il galleggiamento delle placche tettoniche e i terremoti che ne conseguivano. Dieci attivisti avevano passato due giorni e due notti ad allestire un pranzo frugale simbolico, posando sull’asfalto davanti al Maschio Angioino delle ciotole – rigorosamente di legno – completamente vuote. LE MOLTITUDINI SI RIBELLANO, aveva titolato su cinque colonne Il Fatto Quotidiano.

‘Sti idioti, pensò l’anziano. Il cambiamento climatico era sempre stato una costante nella lunga storia della Terra, un balletto naturale di variazioni che aveva visto l’alternanza di ere glaciali a periodi caldi. Ignorare questa ciclicità e continuare a lanciare allarmi di estinzione imminente aveva un sapore millenaristico; prima o poi sarebbe arrivata la fine del mondo, ma non sarebbe stato a causa della supposta emergenza climatica. Il Sole, come tutte le stelle, ha un ciclo di vita che terminerà con la sua morte e si spegnerà definitivamente tra circa 10 miliardi di anni.

Le stelle iniziano a morire quando hanno bruciato tutto il loro combustibile a idrogeno. A quel punto, si espandono e diventano una gigante rossa. Il Sole potrebbe raggiungere questo stadio tra circa cinque miliardi di anni. Il suo nucleo si restringerà, ma i suoi strati esterni si espanderanno verso l’orbita di Marte, inghiottendo nel processo anche il nostro pianeta.

Dopo lo stadio di gigante rossa, il Sole diventerà una nana bianca e in seguito una nebulosa planetaria, una bolla di gas e polvere. Gli scienziati prevedono che il Sole ogni miliardo di anni diventerà del 10% più luminoso e ciò potrebbe creare problemi non indifferenti alla vita sulla Terra.

Tuttavia, è ragionevole supporre che gli esseri umani non assisteranno alla morte del Sole: saranno già scomparsi. Se solo si pensasse al fatto che ogni cosa è effimera non esisterebbero guerre, proteste, scioperi, agitazioni, malcontenti, pensò.

I farsisti, concluse, erano invasati, l’ennesima setta di invasati e non ne sarebbe venuto nulla di buono. Lui, da bambino, li aveva visti quelli con le pistole per strada uccidere Aldo Moro in nome della loro idea di giustizia.

Il professore terminò di leggere le notizie, quindi gettò nel cestino dell’indifferenziata la vaschetta e le posate di plastica con cui aveva consumato il pasto e disse, a voce alta: “E anche per oggi, vaffanculo a Greta!” come se qualcuno potesse sentirlo, come se il proclama arrivasse fino in Svezia. Il fastidioso sfarfallio agli occhi che lo accompagnava da qualche mese si accentuò. Spense il computer, indossò il cappotto e uscì dall’edificio. Nel parcheggio lo attendeva la sua vettura a gasolio Euro 4, che non aveva alcuna intenzione di cambiare. Mise in moto il veicolo e si diresse all’ospedale.

Seduto al volante, si addentrava nei quartieri del centro storico con una certa apprensione. Le facciate degli edifici testimoniavano una trascuratezza intristente. Fermo al semaforo, ebbe il tempo di osservarne uno. La facciata mostrava i segni del tempo e dell’esposizione agli agenti atmosferici. La pittura color ocra, un tempo vivida e scintillante, era sbiadita e si sgretolava, rivelando il mattone sottostante.

Le finestre, quasi prive di persiane e di vetri, si aprivano come occhi vuoti sulla strada. Alcune erano completamente rotte, con frammenti e schegge ancora incastrati nei loro telai arrugginiti. Il legno che un tempo definiva gli infissi era logoro e scrostato, e le imposte, dove ancora presenti, pendevano storte come arti stanchi.

Il portone d’ingresso era ridotto a una sagoma di metallo corroso. Le lettere del numero civico erano sbiadite, appena leggibili. L’atrio, visibile attraverso la porta semiaperta, era avvolto nell’oscurità e il pavimento di marmo era coperto da strati di polvere e cartacce.

Si affacciò dal primo piano una donna giovanissima, completamente velata; scrutò verso il basso e gettò per aria l’involucro di una merendina, poi serrò quel che restava delle imposte.

All’incrocio della strada gruppi di ragazzi giovani parlottavano tra loro, agitando le mani vistosamente e battendo spesso il cinque, in apparenza senza alcun motivo. Alcuni sguardi curiosi seguirono la berlina, una Mercedes Classe C 220 CDI da 150cv, mentre ripartiva allo scattare del verde rilasciando ad altezza d’uomo una sottile nuvola nerastra.

A mano a mano che avanzava nel quartiere, i segni dello spaccio diventavano più evidenti. Persone che si scambiavano oggetti in modo furtivo, occhi che scrutavano ogni movimento e un’atmosfera generale di sospetto. Erano le due del pomeriggio, il sole autunnale era ben alto all’orizzonte.

Si allontanò dalla zona che lo aveva fatto sentire straniero a casa propria. Avvertì un senso di sollievo. Mise l’auto in sosta in un parcheggio sotterraneo e si diresse a piedi verso l’ospedale. I corridoi erano poco animati, evidentemente la maggior parte delle attività si svolgeva al mattino: l’accettazione fu rapida, prenda l’ascensore e vada al secondo piano, consigliò freddamente l’addetto, mentre ritirava le impegnative per la registrazione, restituendole prontamente.

La dottoressa era infastidita.

-E lei perché fa questo esame?

-Se legge in fondo all’impegnativa, c’è il quesito diagnostico.

-Ah, si. Sospetto glaucoma.

-Si, il mio oculista sostiene che anche se la pressione del bulbo è fisiologica, la papilla è un po’ pallida. Meglio accertare.

-E non ha portato esami precedenti?

-Veramente no, è la prima volta che effettuo un esame del campo visivo computerizzato.

-Insomma, devo farle l’esame così, senza nemmeno, che so… una carta di formaggio! Comunque si segga qui, è facile, le spiego. Io proietterò dei pallini luminosi in questo tubo e lei quando li vedrà premerà il pulsante di questo dispositivo, disse porgendo una specie di telecomando minuscolo con un tasto. Mantenga la concentrazione, sarà un po’ stressante e durerà qualche minuto. Ripeteremo la procedura per ciascun occhio.

Il professore sistemò il mento sull’apposito sostegno, la dottoressa applicò una lente sull’occhio sinistro e iniziò l’esame. Una nuvola di puntini luminosi appariva e scompariva in ogni parte del campo visibile: alcuni erano più intensi, altri più tenui, ma nel complesso l’effetto era molto fastidioso.

-Stia fermo! Tenga l’occhio ben aperto, altrimenti dobbiamo rifare l’esame! Lo riprese la donna.

Mentre il bombardamento di luce continuava e lo stato d’animo del paziente si faceva sempre più contrariato, una seconda persona entrò nello studio senza bussare. Il professore comprese che era un’altra dottoressa solo dopo che la sentì parlare.

-Oh, finalmente Sara hai un attimo per me. Però sto facendo un esame del campo visivo, vedi?

-Scusami, cara, ma dovevo proprio dirti delle cose. Le vacanze natalizie sono così vicine, sai? Io e la famiglia stiamo pensando di andare alle Maldive. Me lo copri tu il turno tra il 23 e il 26 dicembre?

-Alle Maldive? Fantastico. Io ho optato per un tour in Azerbaigian oppure in Uzbekistan, luoghi meno scontati, meno… turistici, capisci? Comunque tranquilla, io parto per Capodanno.

-Sempre più avanti, eh? Ma senti, sai che mio figlio Renato sta pensando di iscriversi all’università, finalmente, tra qualche mese? Dopo un anno di cazzeggio post maturità. Scienze politiche. Che sollievo!

-Stia fermo, le ho detto! Altrimenti mi tocca cominciare daccapo! Ah, sì? Davvero? Insomma, potrai goderti un po’ di tranquillità. I miei sono già fuori casa da un po’. Ah, quei bei momenti di solitudine!

-Sì, ma immagino che le preoccupazioni non finiscano mai. Dovresti sentire cosa mi ha raccontato mio figlio sull’attuale situazione in Medio Oriente. È davvero terribile. Ci è stato giusto una settimana prima degli attentati. Non si sa più dove andare in vacanza tranquilli…

-Ah, il conflitto arabo-israeliano. Una tragedia senza fine. Io sono totalmente dalla parte dei palestinesi. Israele dovrebbe fare i conti con le sue azioni.

-Assolutamente d’accordo. Hanno creato un caos inimmaginabile. È orribile vedere cosa stanno facendo. Un ge-no-ci-dio.

-Proprio così. Israele sembra ignorare completamente le condizioni dei palestinesi. Non è giusto. Ora cambiamo occhio, va bene, caro? Stia sempre bello fermo.

-Sai, a volte penso che ci sia qualcosa di più sinistro in tutto ciò. Forse è il momento di aprire gli occhi sulle vere intenzioni di Israele. Non ci si può mai fidare degli ebrei.

-Allora, vediamo quest’esito… vieni anche tu Sara… proprio brutto, vero? Per la sua età il campo è veramente ridotto. Ma è sicuro di essere rimasto concentrato tutto il tempo? Non è che era un po’ in agitazione?

-Conviene che glielo rifaccia nell’altro studio, con il macchinario nuovo, propose Sara.

Ripeterono l’esame, ma il risultato fu identico.

-Se la pressione del bulbo oculare è fisiologica, commentò Sara, la riduzione del campo potrebbe essere causata anche da fattori di altro tipo. Le suggerisco una visita neurologica, senza perdere tempo, signor… signor…

-Levi, Maurizio Levi.

La dottoressa abbassò lo sguardo e il professore tese la mano per congedarla. La stretta fu rapida e intensa.

* * *

L’oculista sollevò lo sguardo dai referti: esame del campo visivo, visita neurologica, tomografia retinica e risonanza magnetica encefalica.

-Ma come fa a essere ridotto così, alla sua eta? Vediamo il lato positivo: non ci sono problemi neurologici, il cervello è a posto. Il suo caso è poco frequente: a volte, a una pressione fisiologica del bulbo corrisponde comunque una lesione del nervo ottico. Evidentemente lei è particolarmente sensibile, cosa ci possiamo fare? Si chiama glaucoma a bassa pressione.

-Che fortuna, veramente.

-Io le darei un collirio da mettere due volte al giorno. E degli integratori a base di colina: pare che siano un toccasana per rivitalizzare il nervo. Costicchiano, eh? E vanno assunti almeno per un semestre.

-E… mi faccia capire… che prospettive ho nel lungo termine? Devo prenotare il pastore tedesco?

-Ma no… non possiamo sapere gli sviluppi della medicina di qui a venti o trent’anni… la stessa colina dieci anni fa non era disponibile. Stia tranquillo! Abbia fiducia nella scienza! Ovviamente, a 80 anni non ci vedrà più benissimo. Ci aggiorniamo tra sei mesi, per valutare l’effetto della terapia.

Così, si era ritrovato a passeggiare per il centro storico di Roma, ma aveva perso contezza della posizione, smarrito nella foschia della sera calante. Estrasse il cellulare per attivare il navigatore, ma il dispositivo era inservibile: la batteria al 3% aveva fatto scattare la modalità risparmio energetico e Google Maps non si caricava. Si avvicinò un passante, intabarrato in un cappotto color cammello e col viso mezzo avvolto dalla sciarpa: gli domandò la direzione per la Fontana di Trevi e l’uomo abbassò la stoffa che ricopriva le labbra per esibire un sorriso beffardo, non esiste più.

Il viandante si dileguò rapidamente e all’improvviso anche la nebbia svanì: adesso percorreva vie strette e i dettagli del quartiere si svelavano. Vecchie botteghe chiuse, muri graffitati, negozi di alimentari deserti, bancarelle di frutta e verdura con i teli grigi stesi sopra le mercanzie. Un odore di caffè e pane fresco si mescolava con il vago effluvio dell’inquinamento. Non capiva da dove provenisse.

Mentre si avvicinava alla propria auto nel parcheggio sotterraneo, notò nuovamente il contrasto tra la sua Mercedes e il paesaggio urbano circostante. Salì a bordo, accese il motore e si diresse verso casa. Il traffico di Roma si manifestava con la sua consueta frenesia, tra motorini che sfrecciavano in mezzo alle vetture e clacson impazienti.

Arrivato a casa, un neon sfarfallava sul pianerottolo. Ebbe un primordiale timore di avanzare nell’ambiente semibuio. La seconda delle dottoresse che l’aveva visitato in ospedale, Sara, si materializzò davanti a lui. La luce fioca dell’ingresso metteva in risalto il suo viso, e il professore notò subito qualcosa di strano nello sguardo.

La dottoressa indossava un vestito nero aderente, che accentuava le forme. La scollatura era profonda e la lunghezza del vestito si fermava appena sopra le ginocchia. Le maniche erano corte e svelavano le braccia. Con un sorriso ambiguo, si avvicinò al professore a passi lenti e sensuali. La donna, con voce calma ma allusiva, sussurrò: “Ho perso l’impegnativa, non posso fare nulla senza di essa. Non vuoi aiutarmi, vero?”. Da vicino, rivelava tutta la sua età, poteva avere intorno ai settant’anni. La sua mano si avventurò in modo suggestivo lungo l’arto superiore del professore, che a un certo punto percepì distintamente lo scatto di un coltellino svizzero.

Preso dal panico, cercò di respingere la donna, ma sembrava incapace di muoversi con la solita agilità. Fuggì in direzione delle scale mentre le risate della dottoressa lo inseguivano: il mio ebreo… ah ah ah. Nella foga scivolò e rotolò lungo i gradini. Uno spigolo sfiorò la tempia destra, giusto vicino all’occhio.

Fu scosso da sussulti tra le lenzuola: la fronte era come levigata da un sudore febbrile. A tastoni nel buio, premette il pulsante della luce: l’orologio segnava le 2.44. Era sveglio. Si alzò, andò nello studio che fungeva anche da libreria. Improvvisamente fu consapevole del fatto che non contava vivere a lungo, campare 81 anni in media, se poi la cecità ti avrebbe impedito di leggere. Morire non era una disgrazia, ma lo rattristava scorgere gli oltre quattromila volumi della sua biblioteca, ordinatissimi sui vari ripiani; lo affliggeva la consapevolezza che non avrebbe mai potuto leggerli tutti. E pensare che sua madre gli aveva raccontato che aveva imparato a leggere da solo, già prima di frequentare la prima elementare. Si era portato avanti con la capacità di lettura, grazie ai quotidiani del padre. Che senso avevano quell’accumulo e quel sapere, adesso? Non avrebbe conosciuto Cechov, Borges e Hemingway, di cui pure possedeva l’opera omnia. Quanti soldi buttati! Avrebbe potuto risparmiare la vista per ammirare un tramonto o, al limite, sbirciare un bel paio di cosce.

Prima di non vederci più, bisognava rimediare. Sollevò la tapparella. Sotto, in strada, non c’erano vetture parcheggiate e la notte era priva di sonnambuli. Si dette un criterio, quello alfabetico. Iniziò con il gettare dalla finestra Alighieri, Allende, Austin, poi Borges, Brontë … ci mise qualche ora a liberarsi di tutti i volumi, ma mentre l’alba schiariva i primi contorni degli edifici in lontananza, anche i romanzi di Zafón erano accatastati sul marciapiede. Passò un cane randagio, perplesso di fronte a quella montagna di carta. Dopo una fugace annusata, l’animale svuotò la vescica su una piccola brossura che era rimasta sul dorso, poteva essere Piattaforma di Houellebecq o forse un Saramago, poi scondinzolò verso il sole, a prima vista allegro.